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LA BALLATA DI UN VECCHIO VISIONARIO.

LA BALLATA DI UN VECCHIO VISIONARIO.

 

“O convitato!

Quest'anima è rimasta

sola sopra un enorme mare, enorme;

così sola, pareva che persino

Dio non ci fosse.”

Da La Ballata del Vecchio Marinaio di Samuel Taylor Coleridge

 

“Quelli che non vogliono ragionare, sono bigotti,

quelli che non possono, sono degli sciocchi,

e quelli che non osano, sono degli schiavi.”

di Lord George Gordon Byron

 

Amico mio,

Siamo qui,

Povere anime su un pianeta.

Quello che abbiamo.

Ancora chiusi o semi-chiusi nelle nostre case circondate dalla milizia.

Sessantamila nuovi sceriffi.

Come nelle città degli appestati nel Cinquecento.

Colpevoli di coltivare la nostra umanità.

Untori di umani affetti.

Malati di solitudine.

Eppure chi governa il mondo sapeva che sarebbe arrivato il virus a fare da spartiacque tra la nostra arroganza e la nostra fragilità.

Lo hanno detto cinque anni fa.

Ma loro operano qui e ora. Nella e per la contingenza.

Loro sono i migliori tra di noi, forse.

Non hanno trovato niente di meglio da fare che imporci una terapia medievale.

Prima hanno spacciato a tutti quanti dispositivi da far morire di invidia il capitano Kirk.

Quelli con cui mediamo la realtà, incapaci di viverla realmente.

Quelli che spacciano la verità.

Gene! Noi seguiamo i protocolli della Flotta Stellare.

O il Bianconiglio.

Peccato essere mancanti del motore a curvatura: adesso, serviva!

E poi?

Ci adegueremo a passare da una paura all’altra?

Tessuto cicatriziale per ferite mentali.

E’ il nostro Ian che ci dice di fare del nostro meglio e un passo indietro.

Play It Again!

Dov’è Sam?

Lo facciamo senza commensali, senza compagni di bevute … A che serve, old boy?

Cosa occorrerà delle nostre vite, del nostro lavoro, dei nostri affetti …

Raccoglieremo i frammenti.

Vite già messe alla prova da una modernità iniqua, da una realtà distorta.

Dove vanno i frammenti?

Nel vetro o con l’umido?

Di più, vecchio mio.

Rifiuteremo il debole e il malato, il cinese  e il lombardo.

Allontaneremo pensieri diversi da quello del Ministero della Verità che ci parla puntuale nel prime time.

Circondati da gendarmi e rovine, lo sguardo verso un futuro avvolto nelle nebbie.

Quale futuro?

Solo il tempo che passa.

Tranquilli! Andrete in vacanza! Ci hanno detto. Allora, perché agitarci?

Agitatevi pure ma a quattro metri e mezzo di distanza!

Il fumo negli occhi.

Chiediamo scusa. Facciamo ammenda per quella birra sui Navigli. Non dovevamo berla … Dovevamo ammalarci nelle case di riposo e negli ospedali e morire in casa, in silenzio.

Non bisogna disturbare il manovratore.

E’ reato dispiegare le ali, figurarsi provare ad alzarsi da terra.

Solo l’uccello del malaugurio può librarsi alto.

Lui sa già volare!

“Criminali.”

Tuona il borgomastro contro la fotografia presa con il teleobiettivo.

In stato di confusione mentale ed istituzionale,

Noi in stato di emergenza sociale, ci occultiamo nel pantano della speranza.

Stiamo nascosti senza convinzione.

Chi urlerà?

“Tana! Liberi tutti?”

O quasi.

Rinchiusi ascoltiamo chi cantava di libertà.

Rinchiusi leggiamo chi scriveva di libertà.

Rinchiusi sentiamo storie di ribelli.

Inchiodati allo schermo dallo scienziato da prima serata, mentre altri diecimila pretendono i loro dannati quindici minuti.

Innegabili, inesorabili, inutili oracoli.

Increduli  e paralizzati dalla paura del nemico invisibile.

E’ lui?

Una particella fatta di aminoacidi e poco altro?

Amico mio, io ne riconosco altri: visibili ad occhio nudo!

Atterriti dalla guerra che imperversa fuori.

Forse …

Nel silenzio di un bombardamento di niente.

Pallottole intangibili sempre fuori bersaglio.

Un silenzio delicato come tuono.

State lì. – ci hanno detto - Non è comodo il divano?

Come un barile vuoto per un naufrago, signore!

E, intanto, attenti obbediamo alle prescrizioni.

Condannati senza processo, né possibilità di appello a trovare noi stessi.

Intanto, lasciamo decidere chi porta avanti la narrazione, respirando atmosfere artificiali,

I trovatori della malattia, della Cura e del terrore esogeno.

Il nuovo clero.

Ma non era cauta e scettica la scienza, Signor Torquemada?

Imprigionati da governanti padri, saggi come profeti, lungimiranti come veggenti, misericordiosi come santi.

Forse, dentro alle migliaia di versioni …

… Migliaia di sacerdoti officianti il rito.

E con loro i nuovi Dei. Quelli che ci daranno il vaccino o la cura.

Attendiamo che ci liberino, più stupidi e schiavi.

Il tempo verrà adesso.

E ci diranno: ne siamo fuori!

Fuori!

L’importante è non leggere tra le righe.

Non datevi pena, non servono indovini.

Saremo tutti vivi (o quasi) nei nuovi focolai veri o presunti.

Se la vostra coscienza è in coma, è ok.

Non fatevi pregare e spegnete il lume.

State in casa lo stesso … Qui fuori è un brutto mondo.

Il nuovo mantra, verrà lanciato alle diciotto … come sempre, no?

Aspettiamo trepidi di essere salvati o ingannati ancora,

Mentre il pendolo oscilla,

Mentre il nulla indotto ha già avvolto tutte le cose,

Mentre le parole fanno il loro lavoro da sole.

 

di Paolo Pelizza

© 2020 Rock targato Italia

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LA PARABOLA DI UNA RAGAZZA TEXANA.

LA PARABOLA DI UNA RAGAZZA TEXANA.

Era una ragazza bruttina del liceo. Priva di attrattiva per il gruppo di quelli più popolari. Anzi, era anche fatta oggetto di scherno e disprezzo, tanto da essere eletta come ”l’uomo più brutto della scuola”. Una vera loser che aggravava la sua situazione schierandosi apertamente per i diritti civili e contro la segregazione razziale nel Texas del Klan.

La musica dei neri, in particolare, l’affascinava .Quella commistione di tristezza e orgoglio, di impegno e forza d’animo dentro a quelle strutture poco lineari ma che ti entravano dentro. Così per gioco, cominciò a cantare nel coro della Chiesa  e registrò una serie di brani blues con J. Kaukonen (Jefferson Airplane) alla chitarra.

Frequentò con poco profitto l’Università ad Austin dove venne ammessa e dove finì per abitare in un quartiere dal nome tutt’altro che rassicurante di The Ghetto. Ma fece avanti e indietro dalla California dove visse anche a Haight Ashbury, l’Aventino degli hippies di San Francisco teatro della Summer of ’67. Non si esibì lì durante quella estate ma fu presente negli altri due appuntamenti epocali: il Festival Pop di Monterey e Woodstock.

 Non so quanti di voi hanno avuto la possibilità di vedere la sua esibizione dell’agosto del 1969 sul palco di Bethel, il più leggendario della Storia. E’ ipnotica. E’ energia e carisma. Ed è bellissima nel suo essere una ragazza normale. Dirà: “Sul palco faccio l’amore con venticinquemila persone, poi torno a casa da sola.”

Dichiaratamente bisessuale, coltiverà una lunga relazione con la sua amica e pusher Peggy Caserta.  Ebbe celebri amanti come Jimi Hendrix, Joe Mc Donald, Seth Morgan e, anche, Leonard Cohen che le dedicò una canzone in ricordo della notte passata insieme (Chelsea Hotel #2).

Le vessazioni subite da adolescente, però, le avevano lasciato dentro ferite insanabili che si erano manifestate con una fame, una brama di vita, di sesso, di eccessi.

Così comincia con l’eroina, dalla quale a tratti prova a liberarsi. Quella con la droga diventa la sua relazione più duratura.

Quella maledetta fame ce la porterà via il 4 ottobre del 1970, consegnandola alla leggenda in una stanza di hotel a Hollywood a soli 27 anni. Anche lei entrerà a far parte del tristemente famoso “Club dei Ventisette”.

Ma entrerà nella Rock ‘N Roll Hall of Fame, la rivista Rolling Stones la metterà al 46° posto della speciale classifica dei più grandi artisti di tutti i tempi e sarà insignita di un Grammy Award alla carriera.

Big Mama Thorton, una delle sue artiste di riferimento, di lei dirà: “Questa ragazza ha il mio stesso sentire”.

Rileggendo la storia di questa ragazza texana straordinaria e tragica, più che dell’artista, la cosa che colpisce è la grande umanità e l’impegno messi nel lottare per quelli che non avevano diritti, che si volevano lasciare indietro. Lo ha fatto nel modo che conosceva e che gli riusciva meglio. Forse, quella sua umanità potrà essere un esempio per questo mondo egoista, ottuso e fallito. Una piccola scintilla per provare a cambiare rotta nel tempo che ci resta.

Janis Joplin, 19 gennaio 1943 – 4 ottobre 1970

di Paolo Pelizza

© 2019 Rock targato Italia

PS: Molti di voi mi hanno sollecitato con molti argomenti, negli ultimi giorni. Prima di cominciare questo “pezzo” è scomparso Peter Edward Baker detto “Ginger”, uno dei più grandi batteristi di sempre. Lo ricordiamo qui con grande affetto e con la certezza incontrovertibile che ci mancherà moltissimo. Così come il 26 settembre scorso è stato il cinquantesimo anniversario dell’uscita di Abbey Road, un album che è tra quelli consegnati al mito. La ricorrenza è stata celebrata con l’uscita di una Special Edition del disco che è (mentre scrivo) al primo posto delle classifiche nel Regno Unito. Ho deciso, alla fine, di ricordare Janis Joplin perché mi sono reso conto che ho parlato molto poco delle donne che pure hanno fatto grande la Storia della musica e del Rock. Con tutto il rispetto, mi sembrava doveroso colmare questa mancanza.

Il vostro amichevole Visionario resta sempre e comunque a disposizione per suggerimenti e critiche.

 

blog www.rocktargatoitalia.it

 

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