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L’incubo di un presente distopico: intervista a Pieralberto Valli.

articolo di Roberto Bonfanti

Pieralberto Valli è un musicista dalla sensibilità sopraffina di cui su queste pagine abbiamo già avuto modo di parlare in più di un’occasione, tanto da averlo inserito, grazie al bellissimo album “Numen”, nella rosa dei cinque candidati alla targa come miglior artista emergente in occasione dell’ultima edizione di Rock Targato Italia. Poche settimane fa l’artista romagnolo ha pubblicato un libro intitolato “Trilogia della distanza”: un insieme di tre racconti, ambientati in un futuro distopico drammaticamente simile a ciò che stiamo vivendo in questi mesi, che riflettono in modo profondo e per nulla didascalico su tematiche tragicamente attuali. Un lavoro che merita di essere letto e approfondito. Dunque abbiamo pensato di fare due chiacchiere direttamente con l’autore per farci raccontare qualcosa in più sul romanzo e sulla sua visione delle cose.

Nasci come musicista con ormai sei album alle spalle, fra i Santo Barbaro e i tuoi progetti solisti, ma “Trilogia della distanza” è la tua seconda pubblicazione letteraria. Che differenze e somiglianze trovi fra il lavoro di musicista e quello di scrittore?

Ci sono sicuramente molti punti di contatto. Il primo libro che ho pubblicato, “Finché c'è vita”, è stato quasi completamente scritto utilizzando un registratore vocale. Non è stato scritto, in sostanza, ma auto-dettato. Anche nell'ultima raccolta di racconti, mentre scrivevo, rileggevo a voce alta per capire qual era l'effetto musicale delle parole, quale ritmo creavano, quali immagini suggerivano anche semplicemente da un punto di vista sonoro. La musica vive dentro alle cose che faccio anche quando non si tratta strettamente di musica.

Nei tre racconti di “Trilogia della distanza” tocchi tematiche estremamente attuali ma riesci a evitare la semplice cronaca trasportando tutto in un futuro distopico che rende tutto ancor più chiaro e universale. Come è nata l’esigenza di scrivere questi racconti? E come quella di pubblicarli?

È nata dal bisogno di raccontare il tempo che stiamo vivendo senza parlarne direttamente, un po' come fa la fantascienza, che scrive di robot per parlare di umani, e ambienta le proprie storie nel futuro per descrivere il presente. In questo modo crea un ponte temporale che la distanzia dal quotidiano quel tanto che basta per poter inserire riflessioni e analisi che altrimenti non sarebbero accettabili e verrebbero fermate alla frontiera.

Mentre tornavo da un concerto, proprio pochi giorni prima che tutto venisse recintato, ho sentito il bisogno di rimettere mano ad alcuni racconti che avevo abbozzato nei mesi precedenti, aggiornandoli e rivedendoli nel complesso. Ho scelto i tre che mi sembravano più centrati sulla visione che volevo comunicare, scartandone altri. Ecco, quello che mi ha spinto a rimettere mano a quei racconti è stata una visione di futuro che stava franando sul presente, spazzandolo via.

Come hai vissuto, da musicista e da essere umano, questi mesi? E cosa ti aspetti dal futuro prossimo?

È stato come svegliarsi da un incubo rendendosi conto di essere finiti nell'incubo di qualcun altro. A livello personale la cosa peggiore di questi mesi è il senso di solitudine, e non intendo la reclusione fisica, ma la percezione di essere un esemplare di una specie in via di estinzione. Mi viene in mente l'ultima scena de “Il pianeta delle scimmie” (un'immagine che ho citato anche nel libro) in cui il protagonista, George Taylor, capisce di non essere su un pianeta lontano, ma sulla Terra da cui era partito; solo che quella Terra è irriconoscibile, trasfigurata, totalmente priva di esseri come lui. E su quella Terra la Statua della Libertà è sepolta sulla spiaggia.

Ciò che si nota nel mondo che circonda i protagonisti dei tre racconti è una grande rassegnazione: tutti sembrano accettare passivamente ciò che accade senza porsi nessuna domanda. Il che rispecchia molto ciò che sta accadendo nella realtà. Al tempo stesso, nei tuoi racconti gli slanci di ribellione individuale non portano mai a un vero lieto fine. Siamo davvero senza speranza?

In questo momento storico porsi delle domande è considerato un atto sovversivo e socialmente pericoloso, al di là delle risposte che ciascuno poi si dà. Le vie alternative e impervie del libero pensiero, un tempo glorificate, sono diventate territori minati in cui è facile cadere, in cui è facile ritrovarsi soli. Il silenzio dei nostri presunti intellettuali mi riporta davvero nello scenario di un romanzo distopico, in cui l'oscurità viene spacciata per luce e invade ogni strada, ogni casa, ogni pensiero. Personalmente conservo speranza e la conserverò sempre, perché come il buio segue la luce, così la luce segue il buio; ma quella ribellione individuale di cui parli non porta a un lieto fine proprio perché, nella disgregazione sociale in atto, rimane un atto individuale. Se una speranza esiste, esiste solo collettivamente; e oggi il principio stesso di collettività è sotto attacco.

Nei primi due racconti, ciò che smuove i protagonisti nel cercare di rompere gli schemi imposti è il bisogno di un contatto umano. Può essere quel bisogno a salvarci?

Tutti i racconti ruotano attorno a una distanza da superare, al rischio che bisogna assumersi come individui per colmare quello spazio vuoto che si è creato tra le persone. Quella è l'unica speranza: stendere le braccia per non permettere che la socialità si dissolva; essere ponti umani, fusione di cellule, casse in filodiffusione che diffondono musica bellissima contro la cacofonia della distruzione. In un mondo totalmente focalizzato sul tema della salute, forse dovremmo anche riscoprire il senso della salvezza, renderla di nuovo attuale. Si tratta solo di abbandonare la paura per abbracciare il nostro senso più profondo di umanità.

“Il compleanno” è un racconto che, almeno in apparenza, si distacca un po’ da argomenti di più stretta attualità per andare a toccare molto da vicino i così detti temi etici. Eppure, leggendo il libro nella sua interezza, ci si rende conto di quanto le tematiche siano strettamente legate. Sbaglio? Ti va di dirci la tua a riguardo?

I tre racconti sono strutturati per finire esattamente in quel punto, nel gesto estremo che la nuova fede del futuro esige dai propri cittadini. Non è casuale che il momento scelto sia un compleanno, un momento di raccoglimento, in cui la famiglia celebra i propri riti di comunità. In un periodo in cui si vietano matrimoni e funerali, in cui si vorrebbe entrare fin dentro alle case per vigilare sull'intimità delle persone, quel rito di unità diventa rito di disgregazione, perché sono sempre i simboli a parlarci di noi, a mettere in voce ciò che non osiamo dire. Ma quel punto finale, in cui si arriva al termine del filo della vita, non è che l'inizio di un nuovo filo. E questo mi riporta all'ultimo album che ho pubblicato, in particolare a Eleusi, e mi dimostra ancora una volta che sto cercando di raccontare la stessa storia, attraverso la musica o i libri, da almeno dieci anni.

Chiudiamo tornando alla musica: “Numen” è uscito praticamente un anno fa. Che bilancio fai, a posteriori dell’esperienza del disco? E cosa dobbiamo aspettarci da te in futuro? Stai già lavorando su qualcosa?

Onestamente mi sembra siano passati secoli dall'uscita dell'album; è come se quel disco appartenesse a un altro mondo, a un altro tempo. Ancora prima del disco in sé, mi viene da pensare a tutte le persone che ho incontrato grazie alla musica; nella maggior parte dei casi uomini e donne che già faticavano enormemente a vivere del proprio lavoro. Persone che mi hanno ospitato in casa o in studio, mi hanno aiutato sul palco, mi hanno donato un pezzo della propria vita e della propria professionalità. Ecco, per una volta non vorrei parlare della mia musica e di chi va sul palco, ma di tutti quelli che permettono che la musica sia materia viva, esista per le strade, entri nelle vite di tutti. Per una volta vorrei sedermi tra il pubblico e applaudire loro sul palco. L'Italia si è dimenticata di loro; io no.

Roberto Bonfanti
[scrittore e artista]

www.robertobonfanti.com

 

 

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016 - Il salto di qualità

016 - Il salto di qualità

di Antonio Chimienti

 

In un articolo precedente abbiamo già parlato in parte del successo. Come inquadrarlo per conoscerlo e come porci nei confronti di esso. Conoscerne le caratteristiche ci può aiutare ed andargli incontro e “ riconoscerlo” fra i vari eventi che via via si formano sulla nostra strada.

Tuttavia la differenza la faremo sempre noi.

Nel senso che dobbiamo accettare che il pubblico che ci giudica e con le proprie azioni premia o boccia il  nostro impegno non ha in alcun caso una premeditazione nel farlo. Statisticamente parlando esiste una parte di pubblico che può attraverso il suo voto esprimere in realtà non un giudizio diretto sulla nostra arte, ma un voto di contestazione per un aspetto che noi rappresentiamo ( ed esempio giudicarci incapaci perché siamo di colore o cantiamo in dialetto o per accusarci di questo o di quello) ma nella totalità del risultato raggiunto sé il voto generale è sotto le nostre aspettative è semplicemente, ripeto semplicemente una nostra responsabilità. Non abbiamo fatto abbastanza per l’obiettivo che ci eravamo posti.

Il primo grande lavoro che dobbiamo fare è accettare questa nostra mancanza.

Il pubblico nella sua moltitudine non può esprimere un voto organizzato, non può sentirsi al telefono o attraverso i social mettersi tutti d’accordo per far venire meno il tanto agognato risultato che volevamo. Il flusso di ragionamento del pubblico è fluido è sì pilotabile, influenzabile e lo si può manipolare, a certe condizioni, ma rimane spontaneo nella sua ultima decisione. Questa spontaneità tuttavia può essere programmata e i grandi esperti di comunicazione sanno molto a questo proposito, ma quello che deve essere chiaro che anche nel poterlo programmare io sono autorizzato ancora una volta a risottolineare che a monte tutto questo risultato dipenderà dalle nostre azioni. Anche la manipolazione evidentemente.

Ma allora perché non si raggiunge il risultato? Perché evidentemente non basta manipolare per saper manipolare, non basta cantare per saper cantare bene, non basta avere un'etichetta alle spalle per ottenere i risultati che una Buona etichetta potrebbe portare, perché in due parole la percezione di ciò che è funzionale nella grandissima stramaggioranza dei casi è solo immaginata, ma non posseduta ed amministrata realmente nella nostra mente.

In altre parole noi ci convinciamo di aver fatto tutto quello che sarebbe servito, ma sappiamo che non è avvenuto nella realtà. nel momento esatto in cui noi compiamo un'azione da cui deriverà il nostro successo non applichiamo quel senso di responsabilità SINCERO ed insostituibile nella sua unicità e funzionalità che ci permetterebbe di espletare la giusta azione. Al contrario indugiamo con noi stessi nella fretta di compiere comunque vada una azione per poterci dire di averla compiuta ed anche accompagnandola dalla autocelebrazione di averla fatta, ma in realtà una capanna è tale non quando ha la forma di una capanna, ma quando alle prime piogge è in grado di svolgere la funzione della capanna; proteggerci per tutto il tempo necessario. C’è una bella differenza fra una canzone che emoziona ed una che non lo fa. E se è vero che il successo

ha fra le sue caratteristiche quella della rarità deve essere vero che questa emozione è essa stessa rara, quindi come possiamo concederci di pensare di aver appena registrato una voce di successo sé nel farlo non abbiamo la sensazione GENUINA di averlo appena fatto. Come possiamo credere che avremo un successo sé il video che abbiamo realizzato è nato su una improvvisazione, sé il pubblico su cui noi contavamo per totalizzare il nostro successo è lo stesso pubblico che abbiamo da tempo e che già in questo tempo non ci ha premiato è evidente che dovremmo cercarne uno nuovo e quindi di rimando accettare l’idea di non averlo mai avuto questo “famoso” pubblico.

Insomma il successo è lì fuori da qualche parte e noi dobbiamo meritarcelo.

Vediamo insieme cosa possiamo fare per cercare di meritarcelo.

L’obiettivo è che un folto numero di persone non unite fra loro da nulla spontaneamente sentano sgorgare da loro stesse un senso di commozione e quindi di volontà a farsi coinvolgere da un qualcuno che con le sue manifestazioni dia loro questa possibilità. Qui si evince immediatamente il ruolo che ha l’artista. Il pubblico ha stretto nella propria mano il ticket su cui vi è scritto che esso ha il diritto ed emozionarsi e sta aspettando che qualcuno onori questo impegno. Capite? Non abbiamo davanti qualcuno che va attirato, Abbiamo qualcuno che è già disposto ad amarci e che sta aspettando da tempo di poterlo fare, Questo è da considerarsi un Jolly per noi. Una prova? Un pianista o un cantante stonato e davanti un pubblico che lo applaude. Non applaudono l’arte stonata del cantante …. applaudono perché quella sera erano lì per applaudire e lui è il meglio che c’è davanti a loro.

Ma c’è un problema (già esposto in un altro mio articolo precedente) il pubblico non organizzato e non messosi d’accordo in alcuna maniera risulta compatto nello stabilire quello che emoziona da quello che non emoziona. Da qui il successo globale. E c’è un altro immenso problema così come ci si abitua alle parole di amore del proprio innamorato così il pubblico si assuefa al livello di emozione raggiunto ed offerto nel mondo. Quello che emozionava un pubblico del 1970 è un livello superato ed oggi per emozionarsi c’è bisogno di qualcosa più emozionante di ieri. Non è per niente facile. Mi è capitato all’inizio di questo anno (siamo nel 2020) di dover reclutare uno specialista di volo e riprese con droni per una produzione e mi ero giustamente imbattuto in un artista del settore che si presentava con dei video acrobatici spettacolari in cui il drone entra ed esce dalle stanze di un albergo ed una velocità e con una precisione da lasciarmi a bocca aperta. Successivamente in occasione di questa produzione che sta uscendo in questo mese di Agosto mi ero ritrovato alcune settimane fa a cercare altri operatori in previsione di altri video e mi sono reso conto che la qualità e l’emozione che vi ho descritta e che scaturiva da quei video di inizio anno oggi non mi suscitava quasi più nulla. Davo per scontato quella qualità, essa non era più emozionante e quindi normale.

Ecco , il nostro impegno è destinato ed essere interminabile poiché esso crea assuefazione. Oggi creiamo un successo e domani ne dobbiamo creare uno migliore. E’ crudele lo capisco, ma è così. Questa dinamica , questo “domani” che deve essere migliore di questo “oggi” è il riflesso del nostro cambiamento o altresì della nostra crescita. Non possiamo non crescere. Ed allora vediamo come può un artista crescere.

Prima di tutto stabilendo un punto di partenza dal quale misurare la propria crescita. Un pò come quando , decidendo di farlo, si prende la matita , si traccia un segno sul muro e poi ogni qualche giorno ci sì va a misurarsi per capire di quanto siamo cresciuti.

Bene , ma qui non si misurano i centimetri e non si possono usare le matite quindi la cosa è un pò più complicata. Quello che dobbiamo fare è misurare chi siamo e non è facile, Il risultato è conoscersi , Arrivare a farlo molto profondamente ponendoci moltissime domande per esempio perché suono o canto, perché non dipingo o gioco a tennis? Perché se ho due soldi corro a comprarmi un amplificatore, una batteria, un microfono, un disco perché, perché?

Perché mi piace stare davanti alle persone su un palco. Oppure perché mi piace fare il batterista che sta seduto  e si vede meno su un palco piuttosto che il chitarrista con i suoi assoli da paura?. Oppure perché sento un brivido quando tengo stretto il microfono ed ondeggio mentre guardo la folla o sogno di riuscire a farlo? O quando appaiono le mie foto con tanti like su un social od anche perché preferisco stare rintanato dentro uno studio a mixare o fare il produttore o avere una etichetta?  Tutte queste domande e moltissime altre che ci possiamo porre e DOBBIAMO porci rappresentano il primo segno sul muro fatto con la matita. Ci indicheranno il punto di partenza, le risposte ci indicano cosa cerchiamo. Quello che riceviamo nel realizzare questo desiderio di essere andrà a riempire in realtà un vuoto che noi abbiamo, Non è come noi crediamo aumentare quello che già siamo, ma riempirci di quello in cui noi manchiamo. Il raggiungimento di questo infatti ci da benessere e soddisfazione interiore. Sé ci sediamo al tavolo di un ristorante a cena e a pranzo abbiamo mangiato un piatto di spaghetti, quando arriverà il cameriere non ordiniamo spaghetti, ma quello che non abbiamo dentro. il nostro desiderio ci spinge a completarci.

Parliamo un attimo dei pericoli. Il pericolo più grande è che nessuno ci venga ed avvisare che la nostra mente è il malato ed anche il medico del malato stesso. Cosa voglio dire? Voglio dire che la nostra mente ci aiuta sollevandoci dalle responsabilità quando si accorge che siamo in debito di soddisfazione e lo fa creando le illusioni. Lo abbiamo visto prima, registriamo un cantato e come per meraviglia ci sembra di averlo fatto bene…. così subito neanche fossimo Mina. Questo è un grosso pericolo perché rischieremo A) di convincerci di essere bravi e di non dover imparare più  nulla, B) se qualcuno si prendesse la briga di criticarci anche solo per consigliarci noi ci sentiremmo male e tristi.

Allora vediamo come fare a convincere la nostra mente che deve fare un pò di attenzione e cominciare a nutrire un pò più di autocritica ottenendo come premio una crescita che sicuramente ci darà molta più soddisfazione.

Lo faremo accettando l’idea che chiunque oltre un certo limite da solo non può arrivare oltre.

E questo limite invalicabile è rappresentato dal nostro talento.

Noi raggiungiamo (e lì ci fermeremo) il massimo nostro livello all’esaurimento della spinta che il nostro talento ci darà. Tutto quello che facciamo prima di questa consapevolezza è usare per salire il nostro naturale talento. E’una sorte di pozione magica che abbiamo alla nascita. Tutti l’abbiamo, ma non ci rendiamo conto che è essa a sponsorizzare i nostri risultati  e non la nostra applicazione. Ditemi che merito ha uno che canta intonato dalla nascita. E quale merito dovrebbe avere uno che è alto 2 metri nel giocare dignitosamente a Basket? Quindi fino ed un certo grado di risultato, che io definisco con il numero 7 ( da 1 a 9 poi vi spiegherò il 10) tutti avranno il piacere  di ottenerlo fermo restando di aver avuto l’intuizione di mettersi nel proprio cammino di appartenenza. Nel senso che se è venuto meno anche questa minima condizione ( pericolo possibile in una società contemporanea come quella di oggi basata su un bombardamento gratuito di miti ed esempi  fatti con lo stampino che nella loro ripetitività alludono alla unica e possibile modalità di vita, o sei come quello o non sei nessuno) è evidente che ti troverai molto male sé alto due metri ti ritrovassi a voler fare il fantino perché in televisione hai visto uno che lo faceva o il calciatore perché guadagna molto: in questo caso il tuo livello non raggiungerà neanche il 7 non potendo sfruttare il tuo naturale talento.

Ma abbiamo detto prima che il pubblico è naturalmente e non organizzativamente lapidario nel suo giudizio ed oltretutto consumato dalla assuefazione non premierà con il successo un partecipante di livello 7, ma solo a partire da chi sta ad 8, 9 o 10. E come si deve fare a passare oltre il 7?

E’ pieno di artisti da 7. Sono tutti quelli che avete al vostro fianco. Sono quelli con fino a 100k like, quelli con 5k amici su Fb ecc ecc Che fanno concerti con 2/3K persone e che vendono 2k cd per tutta la loro vita senza spostarsi da lì e molto spesso abdicando nel dolore e nella frustrazione. Quanti sono? Quasi tutti. In economia c’è una legge di un matematico Italiano (che bello ) un certo Pareto che recita che il 20% di un insieme rappresenta da solo l’80% dell’insieme stesso. Tradotto che quel mondo di successo a cui tutti ambiscono è rappresentato dal 20% degli artisti che lo compongono..non uno di più. Come fare a passare da 7 a 8? Come fare ed entrare in quel 20%?

Tanto lavoro su sé stessi e la speranza di riuscirci o in alternativa possedere una scorciatoia naturale che però con il senno di poi non so proprio quanti la desidererebbero. Sto pensando ed individui nati esclusivamente per emozionare e che nell’ottica del “ o la va o la spacca” sono riusciti in questo intento , ma quando non essendoci riusciti  sì sono ritrovati  esclusi totalmente dalla società. Altra caratteristica di comunanza di questo sottoinsieme è la morte prematura. proprio come sé a conferma di quello che vi sto raccontando il successo essendo il risultato di un viaggio, di una crescita conclamasse alla fine del suddetto viaggio anche la vita necessaria per completarlo. I casi sono talmente tanti ed eclatanti che non voglio citarne nessuno in particolare, ma voi prendetene uno qualsiasi di veramente esemplare nell’arte e controllate sé è morto sotto o sopra  la media di durata della vita umana.

Bene quando si raggiunge il livello 7 si è giunti al proprio completamento, Il completamento vuol dire essersi riempiti totalmente con quello che si possiede dalla nascita facendo da se, sospinti dai migliori pensieri e migliori intenzioni , ma pur sempre esclusivamente da sé stessi. Appunto curandosi con la stessa mente che creava allo stesso tempo il problema. Questo è il procedere normale di chiunque e raggiungere questo livello è assolutamente un segno distintivo, ma voi che lo possedete lo sapete benissimo e vi vantate anche giustamente con voi stessi per questo. ne avete anche il diritto perché 7 non è 6 o 5 e per raggiungere questo 7 avete bene a mente le fatiche che avete fatto e superato. Quindi la vostra mente vi premia e vi supporta come persone riuscite. sì, tutto vero però come mai il pubblico non concede il successo? Perché lì non ci arrivate? Eppure avete la certezza che quel livello superiore esiste, lo vedete intorno a voi, non proprio vicino a voi, ma lo vedete.

Il livello 8 non è da considerarsi un livello successivo, ma un vero e proprio  universo a parte.

Non ci si entra da soli, perché da soli si arriva fino a dove da soli si arriva e ci si ferma a conferma di dove potevate al massimo arrivare.

Al livello 8 ci si arriva perché qualcuno che lo occupa vi ci conduce.

La necessità della presenza di un’altra persona è rappresentata dal fatto che con un certo sforzo dovete capire che se vi sentite a posto (anche se INTUITE che ci sarebbe da fare qualcosa in più) la sensazione di “a posto” vi preclude qualsiasi azione di sviluppo perché dalla certezza di essere a posto alla domanda cosa buttereste di voi, davvero non sapreste che cosa buttare poiché vi sentite a posto. Capite?

Il primo passo sarà capire che non siete per niente a posto perché se così fosse avreste il SUCCESSO mentre in realtà lo state inseguendo proprio perché non lo possedete.

Perché un’altra persona? Perché quest'ultima che non è nata diversamente da voi  fu a sua volta aiutato a passare da 7 ed 8. Nessuna persona può valicare il livello 7 da solo, ricordate?

Quindi quella consapevolezza , quel segno sul muro è il basamento sul quale la vostra mente potrà convincersi che non è per nulla completa, ma che ha solo fatto tutto il suo dovere per arrivare fin lì, ma che ora deve davvero dimostrare di voler imparare.

Quale sarà la prima azione da compiere? Sarà rinnegare una parte di sé. Bisogna buttare via per fare spazio ed inserire cose belle che unite alle altre belle e oltretutto avendone buttate di brutte incominceranno a suscitare negli altri quella serie di emozioni di cui all’inizio abbiamo parlato. Finchè penserai di essere speciale non incomincerai a mettere in atto tutta quella serie di comportamenti che ti condurranno all’essere non più nella norma.

Il livello 9 è quello di chi non compie più una riflessione su questo cambiamento, ma sì è per qualche verso adattato completamente a questo nuovo standard e che per altro lo farà apparire assolutamente umile nel suo comportamento quotidiano,

Il livello 10 è l'eccezionalità, è quell’ambito che emoziona coloro che vivono in questo range di consapevolezza evoluta , non differente dall eccezionalità che si vive nel range sottostante quando ognuno di noi si sente “particolarmente soddisfatto per una qualsiasi cosa”.

Nella musica un esempio per tutti che sempre mi viene in mente è la figura di M. Jackson.

Pensateci un talento importante che fin da bambino si è manifestato con chiarezza. Da adulto le difficoltà nella gestione comportamentale generale di autogestione fino all’incontro con, finalmente Super Talenti, come Q. Jones ed altri anche fuori dalla musica che lo hanno accompagnato oltre il suo livello 7 ovviamente molto oltre fino a fargli comprendere il suo desiderio di essere altro nella forma e nello spirito e poi la morte…. naturale , non naturale , indotta o altro non importa. La morte che se anche non fosse mai accaduta non importa ancora neanche perché certamente sarebbe da intendersi il suo restarting in un’altra forma comunque una morte.

Quando vi sentirete delusi di un risultato non raggiunto, non sentitevi delusi ricordatevi di domandarvi cosa avete fatto perché questo non accadesse. Siate coraggiosi ed onesti. Cercate nei ricordi quella strofa cantata non benissimo e che avete lasciato passare, quel video fatto di fretta senza trasformarvi in censori con il rischio sì di rifarlo , ma anche di non legarvi per sempre a delle immagini non meritevoli di voi stessi. Di essere venuti in studio a registrare senza essersi adeguatamente preparati , ma affidandovi esclusivamente al solito vostro talento (7 appunto) o non esservi curati a sufficienza pensando di poter essere efficienti comunque anche se con la febbre addosso o il dolore ad un dente.E poi tutti i tranelli legati al timore del giudizio altrui; apparire chi non sì è davvero, Comportarsi da duri quando non lo si è o al contrario essere accomodanti e gentili a scapito del rigore e della salvaguardia della qualità  e del risultato.Scomparirà la delusione sé visualizzerete la vostra mente che vi ha ingannato e con la giusta dose di autostima comincerete a lavorare su voi stessi parlando alla vostra mente di un progetto che la riguarda e che la porterà su un altro livello di consapevolezza. Ricordatevi di cercare una guida. Se pensate di poter fare da soli questo pezzo del viaggio vuol dire che a 7 non ci siete neanche ancora arrivati.

Antonio Chimienti

blog rocktargatoitaia.eu

 

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QUESTO OTELLO...

 

QUESTO OTELLO
È TUTTA UN'ALTRA STORIA
di Andrea Motta


SPETTACOLO COMICO
Quando Iago, esasperato dal disprezzo che suscita il suo ruolo, decide di dimostrare che non ci sarebbe capolavoro shakespeariano senza di lui e s'impegna a lasciare in pace Otello, gli altri personaggi si ritrovano in situazioni inusuali ai loro grandi caratteri tragici. Che sarà del Moro senza la gelosia a spingerlo attraverso il dramma? E di Desdemona, che si vede negata la sua memorabile uscita di scena?

 

 

 

 

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Il super io

006 - Il super io

di Antonio Chimienti

Da qualche settimana è ripartito il famosissimo concorso musicale di Rock Targato Italia. Personalmente lo reputo, ma sono condizionato lo ammetto dalla conoscenza di Francesco e Franco, un’occasione sincera per misurarsi con dei concorrenti alla pari e nella certezza che nessun giudizio sul nostro conto di artisti sia offuscato o dettato da qualsivoglia interesse. In fondo lo scopo di una competizione è capire che punto sì è raggiunto nella propria rincorsa al conseguimento  della propria preparazione. Quando pensiamo ai soldi invece, spero lo facciate tutti solo per acquisire la possibilità di arrivare a trarre da una cosa che piace, il suonare, “il Grano” per cibarsi e null’altro.

In occasione della finale della scorsa edizione ci eravamo ritrovati con alcuni gruppi a discutere su quali azioni e pensieri un gruppo musicale avrebbe potuto attivarsi per ottenere migliori risultati. Su tutti quello che più era rimasto scolpito nella mente dei ragazzi fu la scoperta del “SUPER IO”.

Nel momento in cui due o più persone sì associano sotto uno stesso ideale o elemento legante, come possono essere una coppia di innamorati o la tifoseria di una squadra, sì può assistere alla nascita di un SUPER  IO.

Nel caso della coppia addirittura sì può osservare la nascita reale di questo super io, nel caso della tifoseria è più nascosto, ma anche lì c’è un nascituro che vaghisce e per il quale 100k persone sì trasferiscono per kilometri pur di supportarlo e assecondarlo.

Eh sì quando più persone sì associano quello che accade è che l’amore o passione (a seconda del contesto) per il motivo dell’associazione stessa produce istantaneamente la percezione di un intento comune e per questo oggetto, che può essere l’amore per la propria squadra, il successo del proprio gruppo musicale o del proprio figlio , le persone componenti questo insieme faranno di tutto per accontentarlo nei suoi capricci o desideri. Ma qui nasce il problema: i componenti penseranno che quello che serve all’oggetto del loro amore sia quello che loro pensano gli possa servire sulla base ovviamente della propria esperienza. In altre parole sé io come padre ho sofferto di incomprensione da ragazzo e contestualmente subendo fisicamente anche tutto il dolore psicologico nel non averla  a questo figlio (oggetto della mia attenzione) dedicherò moltissima comprensione cioè quella per quantità compensativa al mio sentire. Ovviamente sé non sono stato istruito la dose normale per me sarà sicuramente eccessiva per lui E qui scatta l’errore. Il figlio in questione non ha ancora sofferto di incomprensione e di fatto non ha bisogno di iper comprensione. Un comportamento equilibrato sarebbe più che sufficiente, ma questo padre riuscirà a scorgere questa impalpabile differenza? Dicasi lo stesso per la madre che certamente in quanto donna avrà ricevuto e avrà interiorizzato una realtà comune , ma con diverse prospettive con diverse ricadute su alternativi comportamenti conseguenti. Quello che andrebbe fatto dai due genitori dovrebbe essere una loro temporanea apparente neutralità per dedicarsi ad una certosina osservazione e conoscenza di questo nuovo individuo per arrivare a conoscerlo profondamente e solo dopo dedicarsi anima e corpo all’aiutarlo nel formarsi per quello che realmente egli è. Naturalmente è chiaro che sé i genitori fossero in grado di assumere questo ultimo comportamento lo farebbero perché hanno capito la problematica, ma a questo punto non sarebbe necessario poiché risolverebbero neutralizzandosi all’inizio nel loro proprio potenzialmente dannoso comportamento.

Per un gruppo musicale la strategia è esattamente la stessa.

Lo scopo di un gruppo non è supportare uno degli elementi, solitamente il più carismatico o prepotente, ma l’associazione di più musicisti / artisti è quello di dare agio , vita e spazio alla somma, al Super io , summa dei componenti stessi. Per fare questo i componenti dovrebbero sciegliersi non più come capita, ma cercandosi come sì andrebbe in cerca dei tasselli di un puzzle di cui sì conosce esattamente l’immagine da comporre. Un tassello con quattro curve non serve sé il buco da riempire è quello di un tassello angolare. Continuando nella metafora 5 tasselli angolari sono uno di troppo a scapito di qualcosa d’altro che invece servirebbe.

Dunque riassumiamo.

Due brave persone (traslate l’immagine su un gruppo musicale) che decidono di accoppiarsi hanno il dovere di capire cosa stanno andando a comporre e cosa gli servirà per farlo. Dovranno rendersi conto che questo super io non potrà essere due persone contemporaneamente e che quindi loro dovranno scegliere cosa donargli di sé stessi. Una metà di loro andrà totalmente abbandonata perché matematicamente di troppo. Dovranno pertanto censurarsi in prossimità dei propri difetti ed essere anche molto disciplinati nel farlo. Ma quello che conta innanzitutto è essere consapevoli di tutto questo. Un componente potrà anche essere meno bravo tecnicamente, ma occupare brillantemente il posto di colui che lega gli altri, che lì motiva e questo in un’epoca come la nostra vale molto. Questo ruolo ovviamente non sarà da ricercare sé il gruppo è piccolo. Sé il gruppo è piccolo ovviamente le cose sono più semplici, ma matematicamente ognuno dei tre dovrà impegnarsi molto di più di quello che gli sarebbe toccato sé avesse fatto parte di un gruppo di 9 persone. Quello che conta è il totale che è SEMPRE UNO. Pertanto considerando che questo super io, nel nostro caso è una esternazione artistica, (musicale o/e canzoniera) questa musica/canzone dovrà essere pulita, armoniosa priva di imperfezioni, frescamente riflettente l’mmagine dei suoi genitori. Potrà essere felice o profonda, commerciale o irrispettosa non importa, ma COERENTE con il Super Io sopra ogni cosa (pensate al gruppo degli Squallor). Le persone del gruppo devono mostrare la maturità necessaria a capire tutto questo. Dovranno crescere singolarmente per riuscire a comporre questo obiettivo e sarà da considerarsi una necessità per il bene del “bambino” sostituire dei membri qualora dimostrassero di non essere pronti. La gestazione artistica può essere l’equivalente di un pupazzo con cui giocare, ma la verità è che vorremmo che il nostro figlio (il nostro SUPER IO, il nostro gruppo musicale) fosse il più figo di tutti, il numero 1 e potremo anche riuscirci , ma non senza il dovuto impegno e molto coraggio nel rinunciare, dopo averlo denunciato in primis  a noi stessi e poi anche agli altri componenti del gruppo, anche quella parte brutta di noi stessi che per natura umana non possiamo non avere dentro di noi. Sé fra voi c’è qualche Dio ovviamente sì consideri fuori discussione.

A questo punto il successo sarà alla vostra portata.

Troppo semplice? Le ricette sono sempre molto semplici è la loro esecuzione a creare un profondissimo spartiacque per molti invalicabile fra quei pochi che ci riescono e tutti gli altri che ci provano. In realtà ed essere invalicabili , o meglio molto difficilmente valicabili sono le nostre paure e la resistenza ed accettarsi per quello che siamo. Ma ricordiamoci che la nostra vita è in divenire. Perché pretendere di riuscire al primo colpo. Lascia che il genio che è in te sì prepari a sufficienza. E’ più accettabile riconoscere un saggio in un anziano che in quell’ anziano quando era ancora un giovane.

Buona Musica a tutti.

 

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