- Scritto da Francesco Caprini
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Fra la Milano-Meda e il West: intervista a Il Rumore Della Tregua.

Fra la Milano-Meda e il West: intervista a Il Rumore Della Tregua.
di Roberto Bonfanti
“Canzoni di festa” dei milanesi Il Rumore Della Tregua è uno degli album più suggestivi usciti negli ultimi mesi. Canzoni scure, eleganti, dall’anima rock d’autore piena di poesia e richiami letterari. Affascinato dal loro universo sonoro, ho pensato di fare due chiacchiere con Federico Anelli, voce e chitarra della band.
Iniziamo con una brevissima presentazione? Ti va di raccontarci chi sono Il Rumore Della Tregua?
Una band della provincia, cresciuta tra la Milano-Meda e il west.
Ascoltando il vostro album mi viene in mente la definizione “rock letterario”. Quali sono le vostre principali influenze, sia in ambito musicale che in ambito letterario?
Ti ringrazio per la definizione, anche se "letterario" forse è un po' troppo. Senza dubbio abbiamo sempre curato molto i testi, però per me la letteratura in musica è qualcosa di molto raro. Poi capisco che il livello degli ultimi anni ci possa far sembrare dei letterati, ma perché i tempi sono quelli che sono... Comunque in ambito musicale sicuramente i mondi che ci hanno maggiormente influenzato sono il folk rock americano più oscuro e di frontiera (da Nick Cave ai Calexico, fino ai 16 Horsepower e al Dylan di "Time Out of Mind"), il cantautorato italiano soprattutto dei '70 (De Gregori, Ciampi e l'inevitabile Faber) e il rock indipendente dei '90 (Afterhours, Massimo Volume ecc...). Per quanto riguarda le letture, io sono un grande amante degli americani (Melville e Steinbeck su tutti) e in generale dei romanzi marinareschi.
Il vostro disco richiede un ascolto attento e si pone decisamente fuori da ciò che va per la maggiore nel panorama musicale attuale. Voi come vi collocate nell'attuale scena musicale italiana? E che idea avete di ciò che vi ruota attorno?
A me fa un po' ridere quando sento che le nostre canzoni richiedono un ascolto attento...ma allora Captain Beefheart, Scott Walker o gli Area, per fare tre nomi a caso? È incredibile quanto si siano abbassati i parametri dell' "accessibilità" musicale negli ultimi anni. Ormai se un ritornello non ti si pianta in testa al primo ascolto, significa che scrivi pezzi "complessi". Noi facciamo canzoni, con melodie anche mediamente accessibili, almeno in base a quelli che sono sempre stati i nostri ascolti. Con questo non voglio dire che la tua domanda non sia lecita, anzi. È sicuramente vero che rapportati all'attuale scena indie, itpop o chiamala come vuoi, noi possiamo risultare un po' più ostici, il problema è appunto che - da questo punto di vista - l'asticella si è abbassata vertiginosamente negli ultimi tempi. Detto questo, ci sentiamo abbastanza degli outsider rispetto all'attuale panorama italiano, ma più per condizione naturale che per scelta. Purtroppo se proponi qualcosa che si discosta da quello che funziona bene al momento, fai enormemente fatica a girare e farti conoscere. Per questo ti ringrazio doppiamente per l'attenzione che ci stai concedendo e che hai già concesso al nostro disco.
Il disco è prodotto da Giuliano Dottori: come è nato il rapporto con lui e quanto è stato importante il suo apporto?
Il rapporto è nato abbastanza naturalmente, nel senso che gli abbiamo mandato una mail con i provini chiedendogli se fosse interessato a lavorare con noi e ci ha detto di sì. Il suo apporto è stato senza dubbio importante, soprattutto per limare bene i pezzi e dare un sound omogeneo a tutto il disco. Abbiamo lavorato bene insieme.
La parola “festa” ritorna nel titolo del disco e in due canzoni. Eppure credo che, nel vostro immaginario, intendiate la parola “festa” più come “celebrazione di un rito” che come momento di divertimento. Sbaglio? E c'è un legame fra le due canzoni citate?
Sì, in realtà c'è anche un fondo di ironia nell'aver intitolato "Canzoni di festa" un disco che comunque è abbastanza oscuro dall'inizio alla fine. Anche se credo che una sorta di dolce malinconia da festa di paese emerga qua e là. Sicuramente è qualcosa che - come dici tu - ha più a che fare con la celebrazione di un rito, che è poi ciò che per noi sta alla base di ogni album. Per quanto riguarda i due pezzi a cui fai riferimento non esiste alcun legame, almeno volontario.
Una delle frasi che più mi ha affascinato nel vostro disco è “forse da bambino avrei dovuto perder tempo...” ti va di parlarcene?
Mi fa piacere, è una frase a cui sono molto legato. Sono sempre stato un bambino abbastanza disciplinato e ligio ai miei doveri. Ogni tanto capita di guardarsi indietro e pensare che qualche ora in più passata per strada e qualche ora in meno sui libri forse avrebbe potuto farmi anche bene.
In “Cani dell'estate” i cani diventano la metafora della gioventù odierna. Qual è il vostro sguardo sui giovani di oggi?
In realtà solo il verso finale è riferito in qualche modo alla gioventù, anche perché non me la sentirei di scrivere un pezzo sui “giovani d'oggi”. Non li conosco abbastanza. Di sicuro non ci scatarro su, come diceva Agnelli. Quello lo farei più con qualche mio coetaneo.
In alcune vostre canzoni c'è un forte romanticismo di fondo, spesso impastato di malinconia ed espresso in modo molto personale. Cos'è l'amore per Il Rumore Della Tregua?
Domanda da un miliardo di dollari. Cosa sia l'amore non lo so, sicuramente il romanticismo per me è una sorta di filtro naturale che distorce la realtà e la può rendere più interessante, se combinato appunto con una predisposizione alla malinconia.
Il disco è uscito ormai da qualche mese... ora cosa succederà? Cosa vedi nel vostro futuro?
Al momento stiamo cercando di portarlo in giro il più possibile, anche se non è facile. Il disco sta ricevendo ottime recensioni, ma non basta per riuscire a suonare in giro quanto vorremmo. Nel futuro non so, è un mondo talmente instabile che non conviene pianificare più di tanto. Di sicuro continueremo a scrivere canzoni.
Roberto Bonfanti
[scrittore e artista]
www.robertobonfanti.com