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Road Sweet Home.

Difficilmente il passato torna con un carico di suggestioni, consigli ed empatia come oggi.

In un mondo in costante stato emergenziale, dal 2001 fino ad arrivare ai giorni nostri, viviamo, in nome della sicurezza, un’era di guerre fallimentari e di migrazioni più difficoltose a fronte di una maggiore facilità di spostamento delle merci. Lì c’è il principio della diffusione dell’idea che fuori è pericoloso e che bisogna stare chiusi. Come sempre, la rappresentazione di chi è critico sulle ricette è sempre quella del giullare, di quello che apostrofa la folla della piazza da una cassetta di frutta rovesciata, la “matta” nel mazzo di carte … Non può e non deve essere credibile all’interno di questa narrazione.

Purtroppo, il tema è altro. La domanda vera è che tipo di mondo, che tipo di società vogliamo che abitino i nostri figli e nipoti? Nessuno l’ha posta né in TV o sui giornali, né sui social (dove la gente è più occupata a mettersi in mostra inutilmente o a discutere di facezie) ma è questa la vera posta in gioco per una sempre più ininfluente umanità. Questo perché, per correggere una distorsione a livello planetario, ci vogliono molte generazioni, molti decenni se non secoli. Pensate alla questione dei cambiamenti climatici: l’allarme arrivò forte e chiaro che, negli Stati Uniti, Bill Clinton faceva il suo primo mandato da Presidente ma quello del “buco” nell’ozono è di prima (ora ha superato le dimensioni dell’Antartide).

Ho fatto una riflessione. Io non sono e non sarò mai per un mondo gestito da reclusi sani, efficienti e disciplinati. Purtroppo, i valori con cui sono cresciuto sono quelli dei diritti (umani, individuali e civili), quello della libertà (che è governata dai quei diritti) e dal culto della democrazia che non è un sistema di governo efficientista ma come diceva Churchill è il peggiore tra i sistemi ma anche l'unico possibile.  Non ha l'obiettivo di creare allevamenti o alveari ma semplicemente, di essere giusto. È evidente che non ci siamo accorti che siamo tornati molto più indietro da un punto di vista antropologico e culturale di quanto avessimo potuto immaginare, scossi da paure esogene. Su queste, decidete voi se sono frutto di un progetto o meno.

Così nel mio piccolo mondo fatto di ascolti e letture, irrompono due personaggi che susciteranno la mia curiosità. Uno si chiama John Knewock. E’ un ragazzo che negli anni Sessanta fugge da casa sua perché ha deciso di seguire le sue inclinazioni da persona che non accetta imposizioni fideistiche, che rifugge la guerra (gli Stati Uniti d’America sono in Vietnam) e le sue atrocità e ne ha abbastanza delle logiche ipocrite del perbenismo di una classe sociale a cui non verrà mai chiesto di morire a faccia in giù nel fango di una palude lungo il Mekong per il bene superiore della “patria”. E’ lui che scrive del suo viaggio, durato tre decenni, dentro a un diario che è un insieme di appunti, riflessioni, poesie e canzoni.

Il caso porta quella storia nelle mani di un altro ragazzo, Giulio Larovere, milanese e di professione musicista. Viene così alla luce il concept album dal titolo Road Sweet Home. Con la collaborazione di Giuliano Dottori, in pre produzione (Jacuzi Studio, Milano), e quella di Larsen Premoli (Reclab Studios, Buccinasco) Giulio mette in musica le parole di John.

L’album di cui Giulio cura anche la produzione si avvale della collaborazione di Enrico Meloni (Electric guitar), Giuliano Dottori, (Electric guitar), Andrea Vismara, (Bass guitar), Daniele Capuzzi, (Drums), Raffaele Scogna (Keys) e Vincenzo Marino (Sax).

Così Giulio racconta l’odissea di John, perso per il mondo. Un uomo libero che paga il prezzo della sua libertà con la solitudine che diventa una compagna di viaggio, come si racconta nel pezzo What’s the Use in Being Free. Oppure, la rassegnazione e la stanchezza di uomo che si sente perso e, invece, imparerà a “perdersi” di cui si racconta nella canzone Paper Bag che apre l’opera. Ancora, Rain che ci racconta di come gli affetti, l’amore e l’amicizia vadano e vengano con un malinconico sguardo alle persone che ci si è lasciati alle spalle.

Infine, una parola lasciatemela spendere sulla produzione. Ho avuto il privilegio di ascoltare il vinile. Ora, ascolto spesso vinili registrati in epoca digitale. Spesso la differenza dal file audio  non si sente. Road Sweet Home è stato registrato in analogico utilizzando strumenti e attrezzature  dell’epoca di John. Basta il primo attacco per sentire che suoni “vivo” come i dischi che ascoltavo prima che la sbronza planetaria per il digitale ubriacasse il mondo.

Mi concedo ancora una riflessione. John, in quegli anni, è fuggito per i suoi principi e ha trovato un mondo da esplorare e in cui trovare rifugio.

Siamo certi del fatto che, a volerlo fare oggi, avremmo ancora questa possibilità?

di Paolo Pelizza

© 2021 Rock targato Italia

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Parole Parlanti: una mostra parlata

La Fondazione Mudima, creata e diretta da Gino di Maggio, è la prima Fondazione italiana volta a valorizzare l’arte contemporanea. Nasce nel 1989 ed è un’istituzione senza scopo di lucro. La Fondazione Mudima persegue da molti anni un progetto culturale di grande caratura, volto a intensificare il rapporto tra l’Italia e gli Stati dell’Estremo Oriente. Ne sono testimonianza la grande mostra “Italiana” promossa e curata dalla Fondazione in Giappone, a Yokohama (Tokyo) nel 1994, che univa per la prima volta Arte Povera e Transavanguardia in un progetto assolutamente rivoluzionario per la scena artistica contemporanea; inoltre l’organizzazione del padiglione coreano alla Biennale di Venezia del 1993 e la mostra “Civilization, City and Cars – From Leonardo Da Vinci to Pininfarina” tenutasi a Seoul nel maggio 1996.

Sabrina D’Alessandro torna alla Fondazione Mudima con una provocazione che riflette sulle nuove metodologie di fruizione dell’arte imposte dalle restrizioni dovute alla pandemia. I buffet dei vernissage sono banditi. Il vociare che si sentirà entrando in mostra non sarà più quello delle inaugurazioni mondane, ma quello delle stesse opere esposte: Parole parlanti, ognuna con qualcosa da dire.

Tra un’opera e l’altra, inseriti come elemento di disturbo, si trovano una serie di scatti fatti da Sabrina D’Alessandro durante le esposizioni pre-covid. L’artista espone le fotografie, le quali non sono altro che stampe laser su carta, contrapposte alla purezza formale delle parole parlanti, incise in oro su tela rossa. Parole recuperate negli anni da Sabrina D’Alessandro che hanno da dire qualcosa che non si perde mai e ci riguarda da vicino.

L’inaugurazione della mostra personale di Sabrina D’Alessandro “Parole Parlanti” si terrà il 14 settembre, dalle ore 11 alle 0re 20. Nei giorni successivi, fino al 24 settembre, la mostra sarà visitabile dal lunedì al venerdì dalle 11 alle 13 e dalle 15 alle 19, presso la sede della fondazione.

 

Blog Rock Targato Italia

Stefano Romano: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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Il silenzio di settembre 2021.

   Articolo di Roberto Bonfanti

  -  Passeggiavo per il centro di una cittadina ligure. Nei carrugi, appesi ai muri, c’erano targhe con frasi di De André. “Non si risenta la gente perbene se non mi adatto a portar le catene”, diceva una. “L’inferno esiste solo per chi ne ha paura”, recitava un’altra. A poche centinaia di metri da lì una cover band suonava in una piazzetta circondata da recinzioni alte più di due metri con controlli digitali all’ingresso mentre, un paio di giorni dopo, un’orchestra di liscio si sarebbe esibita in una piazza vicina con il divieto per il pubblico di ballare (che immagino sia un po’ come proiettare un film porno con il divieto di masturbarsi).

In quel momento mi è venuto spontaneo pensare al 1992, quando proprio De André, per non tradire i propri principi, rifiutò l’invito a esibirsi in quello che sarebbe stato il più monumentale spettacolo dal vivo della sua carriera (il concerto-evento insieme a Bob Dylan all’interno delle celebrazioni per i 500 anni della scoperta dell’America a cui De André, per rispetto verso le popolazioni native americane, si rifiutò di partecipare in veste di rappresentante della città d’origine di Cristoforo Colombo, ndr). Poi ho guardato il cellulare e mi ha travolto il silenzio assordante degli artisti di oggi verso la deriva sempre più asfissiante imboccata in questi ultimi mesi dal nostro Paese. Gente che ha costruito intere carriere sull’esaltare chi è “morto per la libertà” oggi considera serenamente rinunciabile ogni forma di libertà individuale. Artisti che si sono riempiti per anni la bocca di “restiamo umani” oggi chiudono gli occhi davanti a un sistema che ci spinge a guardare ogni individuo come un potenziale pericolo anziché, appunto, come un essere umano. Ex ribelli sbraitano contro chi “non rispetta le regole”. Paladini dei diritti hanno improvvisamente dimenticato anche i propri slogan più classici, da “il corpo è mio” in giù. Vecchi poeti si dimostrano capaci di azzardare qualche timida lamentela solo quando si tocca il loro orticello improvvisando discorsi da ragionieri sulla “filiera”.

Sia chiaro: non è una situazione facile. È ovvio che per molti si tratta di decidere se lavorare o meno o quanto meno di scegliere se inimicarsi o meno gli ingranaggi di quel sistema che gli permette di lavorare molto di più, ma purtroppo questo è un dilemma che nei prossimi mesi toccherà sempre più persone in modo sempre più violento e, anche per questo motivo, da determinati personaggi ci si aspetta quel pizzico di lucidità, integrità e coraggio (o almeno, se vogliamo accontentarci del minimo sindacale, inventiva nel trovare modi alternativi per esprimersi e stimolare la riflessione senza prostrarsi a ogni minimo diktat di regime) che dovrebbe valere loro la definizione di “artisti”. Per questo l’unica musica che ho sentito quest’estate e che mi sento di recensire alla vigilia di un periodo che si preannuncia ancora più drammatico è stata il silenzio assordante di un’intera classe di musicisti su tutto ciò che sta stravolgendo i pilastri del nostro vivere civile e il concetto stesso di essere umano.

Proprio De André, in un’intervista di diversi anni fa, disse testualmente: “l'artista è un anticorpo che la società si crea contro il potere. Se si integrano gli artisti, ce l'abbiamo nel culo”. E in effetti…

Roberto Bonfanti
[scrittore e artista]

www.robertobonfanti.com

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Sosteniamo il progetto di crowdfunding promosso dal NoLo Fringe Festival: TEATRO IN GIRO

E' attiva su Produzioni dal Basso la campagna di crowdfunding per

sostenere il progetto di un teatro su ruote che animi le piazze di Milano

TEATRO IN GIRO

un progetto del NoLo Fringe Festival
da realizzarsi durante la terza edizione - dal 7 al 12 settembre - Milano

L’idea di Teatro in giro nasce dal NoLo Fringe Festival, la rassegna di arti performative che da due anni porta il teatro a NoLo, il quartiere milanese a Nord di piazzale Loreto.

Durante il festival le esibizioni avvengono in luoghi non convenzionali, come bar, coworking, palestre e perfino per strada, come nel caso di Romeo e Giulietta, uno spettacolo itinerante lungo via Padova. Le prime due edizioni del Festival sono state l'occasione per molte persone - che di solito non vanno a teatro - di accostarsi a questo tipo di arte in modo nuovo, fresco e senza pregiudizi.

L’idea di lanciare una campagna di crowdfunding su Produzioni dal Basso - prima piattaforma italiana di crowdfunding e social innovation - nasce dalla volontà di realizzare uno spettacolo su un vero palco su ruote e girare per le piazze cittadine per la rappresentazione. La raccolta fondi servirà per affittare un Porter Piaggio, l’acquisto delle attrezzature tecniche, i costi organizzativi e di produzione.

“Da due anni organizziamo una festival che porta il teatro in luoghi non teatrali. Nel 2021 vogliamo portare il teatro nelle piazze, ancora più vicino agli spettatori. Trovare uno spettacolo sottocasa, dopo questo lungo periodo di chiusura forzata, ci sembra il modo migliore per ricominciare a frequentare i luoghi della cultura, un modo gioioso per tornare a teatro”.

Il direttivo del NoLo Fringe Festival

Per tutti coloro che decideranno di sostenere l’iniziativa e contribuire con una donazione sono previste delle ricompense, come la locandina dello spettacolo, t-shirt in edizione limitata, una cena insieme ai membri della compagnia e tante altre esperienze teatrali uniche.

Cos’è NoLo Fringe Festival

Il Fringe è un festival di teatro che nasce a Edimburgo nel 1947 e oggi arriva a Milano. Il NoLo Fringe Festival è nato nel 2019 a Milano ed è organizzato dall’associazione culturale Bardha Mimòs. NoLo è l’acronimo di un quartiere milanese che significa “a Nord di piazzale Loreto”, e delimita un’area, particolarmente attiva e multietnica, alla periferia nord della città.

Per maggiori informazioni sulla campagna:

https://www.produzionidalbasso.com/project/teatro-in-giro/

INFORMAZIONI

www.nolofringe.com
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
facebook @nolofringefestival
instagram NoLo Fringe Festival

 

 Rock Targato Italia sostiene Il NoLo Fringe Festival  da www.rocktargatoitalia.it

 

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