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MANUEL AGNELLI: MASTER AD HONOREM IN EDITORIA E PRODUZIONE MUSICALE

Prima di lui soltanto Lucio Dalla e Roberto Vecchioni.

È il 16 novembre 2022 e il cantautore e produttore discografico Manuel Agnelli riceve dall'Università IULM di Milano il Master ad honorem in editoria e produzione musicale. All’evento ha presenziato una commissione composta da nove docenti dell'ateneo legati a insegnamenti di musica, letteratura, teatro e televisione.
Il Rettore Gianni Canova avvia la cerimonia facendo cenno al suo incontro con Agnelli: i due ebbero occasione di confrontarsi sul libro Le città invisibili di Italo Calvino, scoprendosi entrambi molto vicini a una città del testo in particolare, Irene (che scopriamo inoltre vivere una connessione con il brano Quello Che Non C’è degli Afterhours). Canova sottolinea quanto Agnelli sia uno dei massimi rappresentanti di una corrente musicale importante e non di moda, l’alternative rock, genere che ai più non piace ma che dai 90’ in poi ha contribuito all’affermazione dell’esistenza di una cultura alternativa in Italia, che non ha paura di essere disturbante e decisamente scorticante. Musicalmente parlando Agnelli è stato probabilmente il maggior capostipite di questo momento culturale italiano.
La laudatio del professor Giovannetti, ben strutturata e approfondita, inizia ponendo l’accento su quanto oggi la maggior parte dei giovani conosca poco il rock, non colga la sua natura di genere e lo veda come qualcosa di lontano. Soltanto da pochi mesi tra i giovani italiani questo mondo musicale sta trovando nuovamente spazio e ciò è dovuto al fenomeno Måneskin (lanciati, caso volle, dallo stesso Manuel). Rivelatosi ottimo tutor musicale e giudice televisivo grazie all’esperienza a Xfactor (dove più volte il contesto l’ha costretto a svelare al pubblico il suo lato più sentimentale), Agnelli è stato capace anche in televisione di schierarsi a favore di uno specifico linguaggio (quello delle voci graffiate e delle chitarre distorte, per intenderci), portandolo avanti con forte convinzione e trasmettendolo ai suoi pupilli più dediti alla causa.
Ma concentriamoci sull’Agnelli artista, performer, rimasto sempre fedele all’identità rock della sua figura di musicista. Avere un’identità rock è sinonimo di rispetto verso una dimensione performativa descritta da procedure peculiari, una precisa regia, una corretta divisione delle parti musicali, una salda consapevolezza del ruolo del riff come scheletro della canzone e che nel corso di essa si trasforma ed evolve. Agnelli è un esempio lampante di rocker che suona, canta e insieme interagisce con il suo gruppo e il suo pubblico.
Sempre il professor Giovannetti cita alcuni versi di Agnelli tratti dai suoi testi, vari, taluni blasfemi, altri agnostici, tutti volti a enfatizzare la sua negatività in stile nietzschiano per dire di sì alla vita. Curioso il collegamento tra i versi finali felicemente contraddittori di Quello che non c’è e il testo dell'immortale Impressioni di settembre della PFM. Agnelli canta in modi diversissimi, ha una vocalità molto ampia, passa dall’essere crooner di profilo caldo, rassicurante e tenero, a urlare con tono distorto, disperato, oscuro, cupo, psichedelico e diabolico, sovrapponendo la sua voce ai suoni confusi e distorti, spesso selvaggi e dalle percussioni tribali (con i quali gli Afterhours giocano di continuo). Il suo è un urlo che non necessariamente vuole sconvolgere (non è un urlo death metal): è una voce umana che allo stesso tempo si disumanizza, immergendosi in un universo altro, appunto, alternativo. Ascoltando Nadir (prima traccia del primo album della band, Germi, 1995) scopriamo in settanta secondi il suono distorto di un violino robustissimo, dalla sonorità spietata e vocalità peculiarissima. Il professore in voce propone inoltre l’ascolto di un breve tratto del brano Mio fratello è figlio unico di Rino Gaetano, rivisitato in maniera magistrale dal gruppo sempre in Germi. Oggi è chiaro come le voci rock stiano tornando attuali. Il suono rock disegna vibrazioni spiazzanti e fuori posto: la bravura di interpreti come Agnelli ci aiuta ad abbracciare una corrente musicale che rimane in divenire, che continua a non morire.

Dopo questo primo momento teorico della cerimonia, caratterizzato dall’analisi scolastica del profilo dell’artista e di spezzoni del suo lavoro quasi trentennale, finalmente il protagonista della serata sale in cattedra. Visibilmente commosso dal contesto celebrativo nel quale si trova coinvolto comincia il suo discorso ringraziando il suo team di musicisti e tecnici, la sua casa discografica e il suo management, personaggi fondamentali per la sua attività. Sottolineando come rispetto agli anni 90’ siano cambiate le strutture nella quali fare musica, le piattaforme, i media che la comunicano e le case discografiche che la lanciano, Agnelli spiega come la sua generazione sia stata fortunata a vivere un periodo particolarmente felice, quello della ricezione in eredità dell’esperienza della controcultura (anni 60’ e 70’), la quale ha trasmesso il concetto di autoproduzione e autodeterminazione e ha insegnato a scendere in campo da sé. Lui e i musicisti che l’hanno circondato hanno psicologicamente valicato quel confine che oggi annichilisce un sacco di ragazzi: non sanno dove andare e cosa ascoltare, come fare per realizzare la propria arte. Loro riuscirono ad aprire i propri locali, giornali, radio, centri sociali, luoghi in cui la cultura è stata diffusa e comunicata per anni. Dagli anni 60’ in avanti un certo concetto di musicista ha cominciato a svilupparsi e prendere piede, dove l’unicità del carattere e la diversità erano fondamentali: qualcosa di molto stimolante ma anche molto difficile, poiché in tal modo integrarsi non tornava poi molto facile. Questo oggi fa riflettere, in una società che cerca di raggiungere l’accettazione della diversità a tutti i livelli ma che in realtà a livello artistico e musicale tifa soprattutto per l’omologazione.
Un tempo l’industria cercava la diversità, era più facile lanciare qualcosa di mai sentito, mentre oggi la stessa ha più fame di conferme. La destrutturazione culturale degli ultimi trent’anni ha fatto sì che si sia persa completamente la possibilità analitica di decidere ciò che è buono o no, indipendentemente dall’efficacia di ciò che stiamo analizzando: i numeri hanno preso il posto delle opinioni e sono l’unica cosa oggettiva che ci permette di valutare la qualità di un prodotto (oggi chi fa San Siro ha senso, chi non ci riesce no).
La questione più grave è la cultura del “consenso a tutti i costi” che oggi stiamo vivendo: Agnelli negli ultimi anni ha incontrato tanti ragazzi che gli hanno chiesto come fare a diventare famosi in modo veloce e indolore, come se l’obiettivo fosse quello. La cultura del consenso si scontra con quella che visse lui, del dissenso: la discussione, il confronto. Il consenso è il male più grande di questo periodo storico, perché non è solo nella musica e nell’arte che si manifesta, purtroppo. I giovani che oggi provano ad affacciarsi alla musica con questa mentalità si perdono l’occasione meravigliosa di salvarsi la vita sviluppando il proprio linguaggio.
Agnelli ritiene che la sua generazione non sia riuscita a passare alla successiva il calore della controcultura, lasciando ai giovani di oggi molti punti di domanda. Si augura di lasciarci in eredità la voglia di legittimare la figura del musicista a livello professionale, far sì che la gente sappia che questo è un mestiere serio, difficile, duro, imprenditorialmente rischiosissimo. Questa consapevolezza potrebbe far sì che il nostro paese, il cui unico patrimonio è quello della creatività, non venga assorbito da altri macrosistemi, diventando una piccola cellula insignificante di un mondo che sta sempre più degradando.

Un discorso forte dunque quello di Manuel, riflessivo, ma non del tutto rassegnato, non privo di spunti. Conclude riflettendo su quali siano i posti nei quali i giovani possano esprimersi, incontrarsi, scoprirsi: essi non ci sono più, esistono nel momento in cui siamo noi a desiderarli, pensarli, crearli, viverli. I nostri luoghi musicali dobbiamo tenerli in vita noi stessi, frequentandoli, senza aspettarci niente da nessun altro.
L’artista chiude la cerimonia concedendo ai presenti una semplice e sentita performance di due brani del proprio repertorio, Milano Con La Peste al pianoforte a coda e Quello Che Non C’è alla chitarra acustica.

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Umberto Lepore

 

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CHANGES, COME CAMBIA L'ARTE CONTEMPORANEA

La Fondazione Maimeri e La Milano Painting Academy vi invitano il 2 Dicembre alle 18:30 a 
CHANGES
 come cambia l’arte contemporanea 

a cura di Andrea Dusio.

La Notte Dei Curatori
Con Carola Antonioli, Chiara Canali, Angelo Crespi, Maria Chiara Valacchi

Live Performance
Musica, Teatro, Pittura
Giuseppe Califano,
Giulia D’Imperio
Tom Porta.

Aperitivo a Km zero
Vini Poderi di San Pietro , viticoltori in San Colombano al Lambro .

Vi Aspettiamo.
Via Francesco De Sanctis 34 Milano

c/o Milano Painting Academy


RSVP
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Rachele Guarini
Tel. 3488646604

 

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Mariagiovanna Monzo

 

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CIRANO DEVE MORIRE, UNO SPETTACOLO CONCERTO AL VORTICOSO RITMO DELLA MUSICA RAP

Dal 22 novembre al 4 dicembre

Dal martedì al venerdì h 21 – sabato h 19 – domenica h 17 presso il Teatro Vascello di Roma

Cirano deve morire

UNO SPETTACOLO CONCERTO AL VORTICOSO RITMO DELLA MUSICA RAP

Adattamento del Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand

Spettacolo vincitore del Bando Biennale College indetto dalla Biennale Teatro di Venezia 2018.

Di Leonardo Manzan, Rocco Placidi

regia Leonardo Manzan

con Paola Giannini, Alessandro Bay Rossi, Giusto Cucchiarini

musiche originali di Franco Visioli e Alessandro Levrero eseguite dal vivo da Filippo Lilli

fonico Valerio Massi

luci Simone De Angelis, Giuseppe Incurvati

scene Giuseppe Stellato

costumi Graziella Pepe

produzione de La Biennale di Venezia nell’ambito del progetto Biennale College Teatro – Registi Under 30 con la direzione artistica di Antonio Latella

produzione nuovo allestimento 2022 La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Elledieffe, Fondazione Teatro della Toscana

Durata: 90’

Presentazione https://youtu.be/Hb1iYic8Wk4

Cirano deve morire è una riscrittura per tre voci del Cyrano di Bergerac di Edmond Rostand. Uno spettacolo concerto con testi e musiche originali che trasforma la poesia di fine ’800 in feroci versi rap. Rime taglienti e ritmo indiavolato affrontano in modo implacabile il tema della finzione attraverso il racconto di uno dei più famosi triangoli d'amore della storia del teatro.

Cyrano de Bergerac è una storia di inganni e di morte, di fedeltà agli altri e di tradimento di sé stessi, una storia di parole che seducono e di silenzi che uccidono. È una straordinaria storia di amore e di amicizia, forse la più grande del teatro moderno. Affidata di consueto ad interpreti maturi, che vedono nel testo nient’altro che una prova d’attore, appesantita dal verso alessandrino che non ha ancora trovato, nelle traduzioni italiane, risultati precisi e leggeri, si finisce inevitabilmente col dimenticare che questa, in realtà, è la storia di tre ragazzi. Due amici e la donna di cui entrambi si innamorano. Cirano deve morire, liberamente ispirato al Cyrano di Rostand, recupera la forza poetica del testo attraverso le rime e il ritmo del rap, scelta necessaria non solo per l’espressione dell’eroismo e della verve polemica di Cirano, ma anche per rendere contemporanea e autentica, quindi fedele all’originale, la parola d’amore.

Lo spettacolo trova la sua espressione nella forma del concerto, con musiche originali dal vivo e intrepreti sempre sul palco e sempre a favore di pubblico. Una scelta estetica precisa che trova il suo fondamento nella natura performativa del protagonista (il primo atto dell’opera di Rostand si apre in un teatro).

Lo spettacolo isola il triangolo d’amore dalle vicende collaterali della trama e affronta la trama retrospettivamente, per far emergere da essa i significati universali. È una resa dei conti tra i tre protagonisti, i due morti e l’unica sopravvissuta, Rossana, che non riesce a liberarsi dei fantasmi che hanno distrutto la sua vita con l’inganno di un amore impossibile, ma che allo stesso tempo le hanno donato gli unici momenti di felicità, con la forza della fantasia.

 

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Mariagiovanna Monzo

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L’ORCHESTRA HAYDN DI BOLZANO E TRENTO

L’ORCHESTRA HAYDN DI BOLZANO E TRENTO OSPITE DELLA 78a STAGIONE DEI POMERIGGI MUSICALI 2022/2023

Sul podio Gábor Takács-Nagy, artista amico dell’istituzione milanese, per un programma con Le Ebridi di Mendelssohn, la Sinfonia n. 99 di Haydn e la Sinfonia n. 39 di Mozart

Milano, Teatro Dal Verme

giovedì 10 novembre – ore 10 In anteprima

giovedì 10 novembre – ore 20 concerto

sabato 12 novembre – ore 17 concerto

Per scaricare la cartella stampa

https://www.dropbox.com/sh/04pv5i2wk6ini8c/AAAZrrc2HJU2M8S6cQj3VsOoa?dl=0

Annualmente la Stagione dei Pomeriggi Musicali, soprattutto durante i mesi più intensi di attività come organico ufficiale della stagione Opera Lombardia presenta al pubblico del Teatro Dal Verme una o più compagini ospiti con le quali intreccia rapporto di scambio e collaborazione a livello nazionale.

Ospite della 78a Stagione 2022/2023 è l’Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, orchestra fondata dalle due province autonome nel 1960, protagonista dei concerti in programma giovedì 10 novembre (ore 10 e ore 20), quindi sabato 12 novembre (ore. 17). Sul podio un direttore molto apprezzato dagli appassionati e “amico” dei Pomeriggi Musicali, l’ungherese Gábor Takács-Nagy, che guiderà la compagine trentina in un programma che si apre con Le Ebridi di Felix Mendelssohn-Bartholdy, la Sinfonia n. 99 di Franz Joseph Haydn e la Sinfonia n. 39 K543 di Wolfgang Amadeus Mozart.

“Le sinfonie in programma – scrive Raffaele Mellace nelle note per il programma di sala. – condividono la tonalità d’impianto di Mi bemolle maggiore, che con i suoi tre bemolli in chiave è stata riletta tra Sette e Ottocento nell’ottica del sublime, tra simbologie trinitaria (Bach, Clavier-Uebung III), massonica (Mozart, Il flauto magico) ed eroica (Beethoven, Terza sinfonia, Concerto “L’imperatore”). Nel concerto odierno, aliena da simbologie specifiche, la tonalità promana un’aura grandiosa e solare, che emerge folgorante, per contrasto, dall’ouverture, nel remoto si minore, su cui si alza il sipario. Die Hebriden (“Le Ebridi” o “La grotta di Fingal”) esprime la dimensione, fondamentale nella vita di Mendelssohn, del viaggio come straordinaria esperienza formativa. Per il musicista, e talentuoso acquerellista, l’incontro con paesaggi e civiltà, espressione di natura e cultura, diventa occasione per tradurre in suoni la risonanza interiore di tali esperienze in un animo estremamente ricettivo. Tema dell’ouverture è la fascinosa evocazione marina dello spettacolo sublime del selvaggio arcipelago scozzese. […] Composta a Vienna, […] in vista del secondo viaggio londinese, e presentata appunto a Londra, sotto la direzione dell’Autore stesso, il 10 febbraio 1794, la Sinfonia n. 99 di Haydn è uno dei lavori più maturi dell’intera storia del genere. […] Scritta forse per un'ipotetica occasione concertistica che probabilmente non si realizzò, la Sinfonia in Mi bemolle maggiore K. 543, compiuta il 26 giugno 1788, coniuga in termini altamente originali la grandiosità d’un disegno di neoclassico nitore, dal carattere spiccatamente pubblico e dall'eloquenza immediata e aperta, con i tratti più raffinati di uno stile maturo dedito a un ideale artistico personale, appartato rispetto ai gusti della committenza. Un ideale di bellezza apollinea straordinariamente remoto dalla situazione contingente in cui versavano le sorti di Mozart, ormai lontano dall'effimero idillio con la società viennese che l'aveva illuso pochi anni prima».

Teatro Dal Verme

giovedì 20 ottobre ore 10.00 in anteprima

giovedì 20 ottobre ore 20.00

sabato 22 ottobre ore 17.00

Orchestra Haydn di Bolzano e Trento

Direttore Gábor Takács-Nagy 

 

Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 - 1847)

Le Ebridi (Ouverture da concerto in si minore per orchestra, op. 26)

Allegro moderato. Animato in tempo

Franz Josef Haydn (1732 - 1809)

Sinfonia n. 99 in mi bemolle maggiore, Hob:I:99

Adagio; Vivace assai

Adagio

Minuetto: Allegretto e Trio

Finale: Vivace

Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)

Sinfonia n. 39 in mi bemolle maggiore, K 543

Adagio, Allegro

Andante con moto

Minuetto e trio. Allegretto 

Finale: Allegro 

Orchestra Haydn di Bolzano e Trento 

L’Orchestra Haydn si è costituita nel 1960 per iniziativa dei Comuni e delle Province di Bolzano e di Trento. Il suo repertorio spazia dal barocco ai contemporanei. L’Orchestra Haydn ha preso parte a diversi festival internazionali, apparendo in Austria (a Bregenz, a Erl, al Mozarteum di Salisburgo e al Mu-sikverein di Vienna), Germania, Giappone, Italia (al Maggio Musicale Fiorentino, alla Sagra Musicale Umbra di Perugia, al Rossini Opera Festival di Pesaro, ad Anima Mundi di Pisa, al festival MiTo SettembreMusica di Milano e Torino e alla Biennale Musica di Venezia), negli Stati Uniti d’America, in Svizzera e in Ungheria. Sul suo podio sono saliti, fra gli altri, direttori quali Claudio Abbado, Riccardo Chailly, Jesús López-Cobos, Sir Neville Marriner, Riccardo Muti, Sir Jeffrey Tate. Dopo la quasi trentennale guida di Andrea Mascagni, alla direzione artistica si sono avvicendati Hubert Stuppner, Gustav Kuhn, Daniele Spini e Giorgio Battistelli (dal 2021).

Gábor Takács-Nagy direttore

Nato a Budapest, inizia a studiare violino a 8anni. Ancora studente dell’Accademia Liszt, riceve nel 1979 il primo premio al Concorso Jeno Hubay. Studia poi con Nathan Milstein. Per la musica da camera si perfeziona con Ferenc Rados, Andras Mihaly e György Kurtag. Dal 1975 al 1992 è primo violino e fondatore del celebre Quartetto Takács, che riceve il primo premio nei principali concorsi per quartetto d’archi: Evian (1977) e Londra (1979). Nel 1982 riceve il Premio Liszt e nel 1996 fonda il Takács Piano Trio, con cui incide in prima esecuzione i lavori dei compositori Franz Liszt e Laszlo Lajtha e l’opera completa per violino di Sandor Veress. Dal 1997 è professore di quartetto al Conservatorio di Ginevra e tiene master class in prestigiose accademie internazionali. Nel 1999 dà vita al quartetto Mikrokosmos con Miklos Pereny, Zoltan Tuska e Sandor Papp e nel 2009 la loro registrazione dei quartetti di Bartók si aggiudica il premio Pizzicato-Excellentia. Interprete fra i più autentici della musica ungherese, in particolare di Bartók, dal 2001 dedica sempre più energie e spazio alla direzione d’orchestra. È ospite di importanti orchestre internazionali: Irish Chamber Orchestra, Verbier Festival Chamber Orchestra, Budapest Festival Orchestra, Camerata Freiburg, Tapiola Sinfonietta, Toho Gakuen Orchestra. Dal 2010 al 2012 è stato Direttore Musicale della MAV Symphony Orchestra Budapest e dal 2011 Direttore Musicale della Manchester Camerata. Nel 2012 è stato nominato Direttore Ospite Principale della Budapest Festival Orchestra. Dal 2013 al 2018 è stato Principal Artistic Partner della Irish Chamber Orchestra. È professore di Quartetto all’Haute Ecole de Musique di Ginevra. Nel 2012 è stato nominato membro onorario della Royal Academy of Music di Londra e nel 2021 ha ricevuto il prestigioso premio Artist of Merit dal governo ungherese.

I concerti della 78a Stagione sono programmati come sempre il giovedì alle ore 20 e il sabato alle ore 17 al Teatro Dal Verme.

Una novità: Trenord diventa Travel partner della Fondazione I Pomeriggi Musicali e offre ai propri abbonati con la tessera “Io viaggio” lo sconto del 25% sui biglietti e gli abbonamenti.

Teatro Dal Verme

via San Giovanni sul Muro, 2 - 20121, Milano

Tel. 02 87 905 – www.ipomeriggi.it

 

La biglietteria del Teatro Dal Verme è aperta da martedì a sabato ore 10:30 – 18:30

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. / tel 02 87905 201

Vendita online www.ticketone.it

 

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