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PIETARI INKINEN DIRIGE L’ORCHESTRA DEI POMERIGGI MUSICALI IN DUE CELEBRI “QUINTE” SINFONIE DI BEETHOVEN E MENDELSSOHN

PIETARI INKINEN DIRIGE L’ORCHESTRA DEI POMERIGGI MUSICALI IN DUE CELEBRI “QUINTE” SINFONIE DI BEETHOVEN E MENDELSSOHN

Teatro Dal Verme

giovedì 31 marzo ore 10.00 – anteprima del concerto

giovedì 31 marzo ore 20.00 – concerto

sabato 2 aprile ore 17.00 – concerto

Atteso ritorno al Teatro Dal Verme dopo due mesi per i concerti della 77a Stagione dei Pomeriggi Musicali intitolata “Racconti senza parole: la musica tra mito, letteratura e poesia” del direttore finlandese Pietari Inkinen che, giovedì 31 marzo (ore 10 e ore 20) e sabato 2 aprile (ore 17), sarà impegnato in due celebri “Quinte”: la Sinfonia n. 5 in re minore di Mendelssohn e la Sinfonia n. 5 in do minore di Beethoven.

Pietari Inkinen, già ospite assai apprezzato dei Pomeriggi Musicali negli anni scorsi e, a gennaio 2022, per la Sinfonia n. 1 di Bruckner, è oggi fra i più apprezzati interpreti wagneriani e del tardo romanticismo europeo. Sarà infatti lui a dirigere la prossima estate la nuova produzione del Ring di Wagner al festival di Bayreuth, dopo aver conquistato L’oro del Reno diretto a Palermo nel 2013 il premio Abbiati come “miglior spettacolo dell’anno”.

In apertura di questo nuovo concerto milanese la Sinfonia n. 5 in re minore op. 107 "La Riforma" di Felix Mendelssohn-Bartholdy, composizione giovanile ideata con l’intento di celebrare nel 1830 il trecentesimo anniversario della Confessione di Augusta (1530), il principale evento luterano (il titolo originale, infatti, era quello di «Sinfonia per celebrare una rivoluzione nella Chiesa»), della “Riforma” appunto. Un pezzo scritto «nello spirito di fervente adesione al cristianesimo luterano – sottolinea nelle note di sala Raffaele Mellace – che il padre di Felix, discendente d’una facoltosa famiglia ebraica, aveva scelto per i propri figli nel 1816. Mendelssohn diresse il proprio lavoro solo due anni più tardi, il 15 novembre 1832, ma lo considerò sempre come un esperimento abortito, tanto che la sinfonia uscì a stampa solo vent’anni dopo la morte dell’autore. In realtà, se d’esperimento effettivamente si tratta, resta di grande interesse né lesina bellezze musicali. Mendelssohn aspira a coniugarvi, come farà dieci anni dopo nella Sinfonia n. 2, il portato spirituale della tradizione religiosa tedesca con i mezzi espressivi del sinfonismo romantico. L’interesse dell’operazione sta nell’aver posto alla base dell’edificio sinfonico […] un materiale tematico di derivazione ecclesiastica: sin dalle prime battute il gregoriano Magnificat tertii toni che risuona anche nella Jupiter mozartiana, il cosiddetto Amen di Dresda, che introduce l’Allegro con fuoco e Wagner adotterà come tema del Graal nel Parsifal, e, nel Finale, il corale simbolo della Riforma, scritto da Lutero nel 1527-29, che un secolo prima di Mendelssohn, era stato alla base di un’imponente, celeberrima Cantata di Bach, la BWV 80».

Il concerto prosegue con la Sinfonia n. 5 in do minore op. 67 di Ludwig van Beethoven. Titanica, sublime, drammatica e celebre anche all’orecchio di un neofita, la Quinta si è imposta attraverso i secoli nella coscienza collettiva come la più paradigmatica fra le nove Sinfonie del compositore e come incarnazione dei tratti grandiosi e profondi della sua personalità. Frutto di un processo creativo lungo e complesso, la partitura esprime il carattere della nostalgia paurosa e irrequieta e contiene un fitto simbolismo di riferimenti allegorici e morali, soprattutto improntati a concezioni illuministiche riguardo al ruolo della ragione e del futuro. «La tonalità prediletta di do minore –spiega sempre MEllace – già adottata nella Grande Sonate Pathétique, nel Terzo concerto per pianoforte e nella “Marcia funebre” dell’Eroica, compie ora il suo destino assumendo la sua maschera più autentica: la forma eroica. Il drammatico motto, un’epigrafe dantesca, che apre la Quinta – sonorizzazione del “destino che bussa alla porta”, secondo quanto riferito ad Anton Schindler da Beethoven, che però poi riferì all’allievo Czerny che era ispirato al richiamo, effettivamente molto somigliante, dello zigolo giallo – attiva un congegno implacabile, organismo dove tout se tient rigorosamente, costruzione in cui ogni dettaglio corrisponde al disegno complessivo, all’insegna d’una eloquenza che inchioda l’ascoltatore con la violenza e la pregnanza di un’invenzione dal fascino ineludibile. L’elaborazione motivica si mostra in grado di sostenere campate sinfoniche imponenti sulla base d’un materiale sonoro minimo, il celebre, minuscolo inciso d’avvio formato da quattro note, le prime tre delle quali identiche».

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