- Scritto da Francesco Caprini
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DODICI ALBUM PER L’APOCALISSE I PARTE.

DODICI ALBUM PER L’APOCALISSE
I PARTE.
“Quello che il bruco chiama fine del mondo,
il resto del mondo chiama farfalla.”
Lao Tze
Amici Visionari, ben trovati. Ho provato a cominciare con una citazione di speranza (per citare Robert Plant al Garden) anche se, mentre scrivo queste righe, mi trovo a considerare alcuni fatti che proprio non mi fanno pensare ad un futuro così roseo. Innanzitutto, la comprovata consapevolezza che il mondo scientifico sul Covid 19 si è diviso in due correnti principali, un po’ come la discografia negli anni Settanta. Abbiamo gli scienziati mainstream e quelli underground: quelli che lavorano per le major e gli altri per le etichette indie.
Premettendo che tra nessuno (neanche tra quelli mainstream!!!) di questi c’è accordo sul tema del momento, ci piacerebbe che, almeno, non si continuasse a gettare addosso notizie, speranze, illusioni e disillusioni sul pubblico che, al contrario, è bombardato da bollettini, decreti, ordinanze e modelli per autodichiarazione minuto per minuto. Da essere umano chiedo sommessamente che si allenti la pressione mediatica, che i decreti li facciano uscire in orari più potabili e che ci sia una linea di chiarezza ma, soprattutto, che non si invitino più virologi, infettivologi, microbiologi, etc. nelle trasmissioni televisive a dire tutto e il contrario di tutto (tra l’altro, con abbondanza di “leccate” agli stessi).
Ci hanno detto e indotto a pensare che, alla fine di questa triste vicenda planetaria, le cose cambieranno. Eh sì, perché dovremmo riflettere sul mondo, sui nostri sistemi e porre dei correttivi … Insomma, niente sarà come prima e le cose andranno meglio.
Ora, consentitemi di non essere molto fiducioso! Non si sta usando come scusa l’inosservanza delle regole per potersi dotare legalmente di un’applicazione che ci tracci tutti e che permetta (ulteriormente) di indagare sulle nostre vite, sui nostri movimenti, le nostre abitudini? Pensate che eravamo già oltre il grande fratello di Orwell ….
Di più, si chiede ai gestori di social media (che come sapete non mi sono particolarmente simpatici) di denunciare chiunque metta in dubbio la verità scientifica ovvero il verbo di (non meglio dichiarate) fonti scientifiche accreditate. A parte il metodo e il linguaggio, ma quale verità scientifica? Le abbiamo sentite tutte da due mesi a questa parte! Non è che la verità scientifica di cui parlano è quella diffusa dai governi e dai loro gabinetti di esperti? Sul concetto stesso di “verità” non troverete nessuno scienziato (degno di questo nome) che non troverebbe la questione mal posta e pericolosa. Non c’è bisogno che sia io a dirvi a cosa porta questo tipo di attitudine. Mi sembra che si stia facendo di tutto per evocare spettri che pensavamo di aver eliminato con un prezzo elevatissimo, come Manfred maldestri. Infatti, un conto è far osservare le regole che ci danno (lo facciamo!), un conto è non poter più esprimere un punto di vista o un’opinione, fosse anche la più stupida e priva di fondamento. Attenzione a smettere di vigilare ed indignarsi su questo tema. Se la pelle fosse stata più importante della libertà, probabilmente, nella storia degli uomini non ci sarebbe mai stata una rivoluzione.
Per farci un’idea piena di fondamenti e fondamentale per la sopravvivenza dentro all’Apocalisse, eccovi una selezione dei primi dodici album (prevediamo delle sorprese nelle prossime settimane!) per restare vivi e mentalmente funzionanti. Ecco i sei della settimana.
#1. Five Leaves Left di Nick Drake. Cinque foglie rimaste su un albero nella campagna inglese. Quella campagna autunnale dove le sagome delle piante costituiscono l’elemento definito del chiaroscuro nel bianco rarefatto della foschia. Come noi, quelle foglie precarie sono rimaste sul loro ramo in attesa che venga il loro turno di cadere. E’ quella campagna che vide la nascita di Nick. Questo è il primo album di tre. Poche vendite, scarso successo in vita, Drake verrà scoperto postumo. Il disco è grande e segnerà almeno una generazione di ascoltatori e musicisti per il suo interprete sobrio ed essenziale nel canto, per i preziosi arpeggi di chitarra e per il romanticismo malinconico e struggente di chi è vittima della sua arte. Nick scomparirà a 26 anni, in silenzio dentro al chiasso del successo di The Who e Led Zeppelin. Se ne andrà senza nemmeno entrare nel triste Club dei Ventisette, anche qui in controtendenza. Se ne andrà per un’overdose di farmaci. Non si capì mai se fosse stato suicidio (così venne ufficialmente definito: Nick soffriva di depressione) o errore nel dosaggio. Ci sarà chi mi dirà che preferisce Pink Moon (il terzo album, universalmente riconosciuto come il suo miglior lavoro) ma Five Leaves Left ha una tale carica di fresca precarietà, di sottile sofferenza, di attesa di destini ineluttabili da renderlo così “vivo” come l’immagine, evocata dal titolo, delle ultime cinque cartine nel pacchetto delle Rizla.
#2. Countdwon to Exinction dei Megadeth. E’ il quinto lavoro in studio per la band trash metal (etichetta che trovo riduttiva, personalmente) americana. Esce nell’estate del 1992 ed è una miscela riuscita tra gli stilemi armonici del genere e la stesura di melodie più strutturate ed orecchiabili. Il titolo evoca i tempi che stiamo vivendo come conto alla rovescia per l’estinzione. Non mi riferisco al virus di moda, oggi. Ma a tutta quella letteratura di azioni disattese e sottovalutate sulla salvaguardia del nostro pianeta, sui cambiamenti climatici, sulla conservazione della bio-diversità … Tornando in tema, il disco ebbe più successo presso un pubblico più eterogeneo che tra i fans della band che lo vogliono tra quelli dell’ineluttabile declino verso logiche più commerciali, forse perché mancante del ricorso sistematico a quelle chitarre monstre che i Megadeth hanno tra i loro “registri” e che, qualche volta, virano verso una noiosa evoluzione manieristica. Questo album mi è stato suggerito dal mio amico Davide dei Messer DaVil e lo inserisco volentieri.
#3. Close to the Edge degli Yes. Questo è suggerito da Giorgio. Siamo al cospetto di una delle più talentuose band del progressive rock e a uno degli album più importanti del genere oltre che del gruppo. Molti di voi farebbero un’altra classifica … ma questa non è una classifica! E’ un elenco di generi primari per sopravvissuti! Questo disco è una continua sorpresa nel susseguirsi dei brani con un’infinita citazione di generi e tecniche. Il basso di Squire segue la tradizione dei bassi “melodici” (tra tutti Beatles e The Who) liberando la chitarra di Howe a spaziare ed a portarci in viaggio dentro ad un rock marginale, fatto più di escursioni classiche sinfoniche, nel jazz e nel folk. La title track è una suite di diciotto minuti, tanto per gradire, ed è ispirata al romanzo Siddharta di Hesse. Il “baratro” esistenziale degli Yes è sicuramente molto lontano dal nostro ma il titolo e la grandezza dell’album ci stanno alla grande!
#4. Wish You Were Here dei Pink Floyd. Bacchettato da molti per non aver inserito questi ragazzacci britannici nella precedente playlist, me li sono conservati per la composizione della lista degli album per la fine del mondo. Dopo il successo epocale di Dark Side of the Moon, il gruppo si ritrova in preda a sé stesso. Troppi pochi stimoli dopo un’esperienza come quella, troppo tempo per pensare, perché sentimenti contrastanti facciano la loro comparsa accompagnati da quel sottile, freddo senso di colpa che da tempo era con loro. A volte rimanendo sullo sfondo, a volte risalendo il flusso delle coscienze. Così nasce Wish You Were Here, altro album capolavoro del gruppo. E’ per Syd Barrett, fondatore della band, malato di mente, tossico e genio, il senso di colpa. La consapevolezza di averlo abbandonato, di non aver fatto abbastanza sono i temi del disco: assenza, disagio mentale ma, anche, quello di un sotterraneo, malcelato cinismo dell’industria musicale. Attualmente, siamo tutti lontani per decreto e credo che tutti noi si stia esprimendo lo stesso augurio del titolo.
#5. The Wall dei Pink Floyd. Quarto ed ultimo capolavoro della gestione di Roger Waters dopo Dark Side of the Moon, Wish You Were Here e Animals, chiude gli anni Settanta e quella straordinaria stagione nella produzione musicale. Autobiografico per Waters, il concept racconta la storia di una rockstar chiamata Pink che attraverso una serie di episodi traumatici e di disagio psicologico arriva a costruirsi un muro con gli altri. La scomparsa del padre durante la Guerra (quello di Waters morì durante la battaglia di Cassino e lì è sepolto), gli insegnanti autoritari, la madre che aveva come unico oggetto d’amore il figlio e i tradimenti della moglie sono i mattoni del muro. I nostri muri sono reali e di mattoni solidi dentro agli arresti domiciliari nei quali ci hanno messo. Speriamo che questa situazioni duri il meno possibile e che non sia la scusa per costruirne altri, di muri.
#6. Darwin del Banco di Mutuo Soccorso. Secondo noi, il concept più importante del prog italiano e uno dei più significativi del prog tutto. Prodotto dall’etichetta di Emerson, Lake and Palmer (Manticore), il disco è una esplorazione per suoni, parole ed immagini della nascita e dello sviluppo delle forme di vita sulla Terra in chiave evoluzionistica (ci mancherebbe!) ma priva di dotte e barbose dialettiche di tipo scientifico/filosofico. Le liriche sono, in realtà, personali ed intime. Le tastiere e la chitarra (quella di Marcello Todaro) ci guidano attraverso fughe dal sapore “bachiano”, intermezzi jazz e ouverture tipiche del genere. Ma il paesaggio sonoro è ricco e scarsamente applicabile a quanto conosciuto e apprezzato nella Grande Isola, regalando all’ascoltatore un senso di fresco e di nuovo: direi vagamente mediterraneo. Un album che non ha avuto paura del tempo: suona nuovo dal 1972.
Così finisce la prima parte tra evoluzioni, muri, malinconie e conti alla rovescia. Per la seconda dovrete aspettare un’altra settimana e, come sapete, accetto consigli e suggerimenti. Intanto, vi invito a rispettare le regole ma, soprattutto, a non smettere mai di vigilare e stigmatizzare qualsiasi tentativo di annullare le libertà e di limitare i diritti conquistati a così caro prezzo e previsti dalla nostra Carta … mentre scrivo corre il triste anniversario delle Fosse Ardeatine, cerchiamo di raccogliere il testimone dei martiri e degli incalcolabili sacrifici fatti.
di Paolo Pelizza
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