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LA SINDROME DELLA REALTA’.

“E non voglio che il mondo mi veda

Perché non penso che capirebbero

Quando tutto è fatto per essere rotto

Solo voglio che tu sappia chi sono.”

da Iris (Goo Goo Dolls)

 

 - Oggi, se vuoi fare un video da trapper di successo devi farti vedere come minimo su una Ferrari, se sei un rocker di successo ti basta essere seduto con la giacca sotto la testa come cuscino sul sedile spartano di un autobus.

Perché il rock non è “aspirazionale”, è di tutti e per tutti.

Chi lo fa, ovviamente, deve avere qualcosa da dire (magari di interessante o di importante) e qualche skills per potersi esprimere cosa che per alcuni altri generi non sembra essere fondamentale.

Sembra più importante avere una storia che essere capaci di raccontarla. Un tale che, forse qualche copia in più di un paio dei suoi romanzi l’ha venduta, un giorno disse: “non è mai la storia, è come la racconti!” Quel tale all’anagrafe fa Stephen King. Per carità, averne una di storia, è condizione necessaria ma non sufficiente.

Raccontarsi, alla moda di oggi, non è arte è onanismo. Già perché come diceva Aristotele (no, non è un centravanti brasiliano) la condizione umana è unica e immutabile. Quindi, se la compagna di classe che avevi al liceo non te l’ha data non è che ce la devi menare e, adesso, che sei ricco e famoso e hai fatto (magari) anche un film, devi ammorbarci con il novero delle tue conquiste amorose esponendole come il bucato.

Semmai, il fatto che tu abbia questa modalità di revanscismo nei confronti del genere femminile ci toglie ogni dubbio sul fatto che quella tua compagna di classe avesse ragione oltre ogni ragionevole dubbio. Inoltre, (il tu è ipotetico ma potrebbe coinvolgere più di un soggetto reale) se non sei capace di fare niente perché non suoni, non canti, non scrivi … beli e blateri di facezie, dico io, perché dovrei interessarmi a te. In che modo mi aiuti a capire la realtà, cosa stimoli in me?

Scusate l’integralismo ma la contemporaneità ha sviluppato un’ulteriore svolta che basa il giudizio su apparenza, appartenenza e superficialità. E’ vero che queste deviazioni ci sono sempre state ma, ora, sono elette a sistema. Non credo che ci sia nessuno (ancorché di estrema destra e normodotato dal punto di vista delle facoltà mentali) che , al di là delle diverse posizione, possa aver ritenuto ininfluente il pensiero di Pasolini. Oggi, mi direbbero: Pasolini, chi? Senza sapere che abbiamo avuto due grandi Pasolini: uno campione di motociclismo e l’altro autore, intellettuale poeta e regista. Il tema dell’oggi è che esisti se posti, se twerki, se cazzeggi. Le star sono i campioni della gara di scoregge su YouTube … Quando va bene.

Ok, sono il primo a dire che non ci sia niente di male, tuttavia, questo non può essere tutto quello che c’è a disposizione. Perché, vedete, per scovare qualcosa di qualità bisogna scavare, documentarsi, fare fatica, compiere atti deliberati. Non è a portata di click, la profondità. Non lo è mai stata. Neanche ai miei tempi quando non c’erano questi fenomeni da baraccone ma ce n’erano altri. Allora erano prodotti dalla TV commerciale, non dalla rete. Però, noi avevamo gli anticorpi. Oggi, non sono così convinto che i ragazzi li abbiano sviluppati in una società dove vige il pensiero unico, dove le opinioni sono diverse ma standardizzate, lo stile di vita omologato. Io sono stato molto criticato dai giovani, anche dai miei parenti, perché non sono sui social … ci devi essere, mi dicono. No, rispondo, io non devo fare niente che abbia come motivazione che lo fanno tutti.

Lì, sulla linea di galleggiamento, c’è quello che il marketing vuole farti credere che abbia un valore e, un valore, ce l’ha esclusivamente dal punto di vista del profitto che porterà a qualcuno. L’effetto boomerang è che farà ricco quel qualcuno e più stupidi tutti coloro che lo ascoltano (o, come si dice  adesso, che lo seguono).

Vedete, qualche giorno fa è stato il quarantesimo anniversario della morte di un artista immenso, pensatore e pacifista. Il nome di costui è John Lennon. Come per Pasolini, per favore, non chiedete: John chi?

Perché se fate questa domanda otterrete soltanto la nostra compassione.

di Paolo Pelizza

© 2020 Rock targato Italia

 

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ANNO MUSICORUM MMXX

di Massimiliano Morelli

  - Il primo dicembre appena passato, sette mesi e mezzo dopo la mia peculiare recensione di The New Abnormal, i The Strokes presentano in anteprima su YouTube –regia di Roman Coppola, niente meno– il video di The Adults Are Talking— l’opener del disco, rivelatrice e rilevante quanto il disco stesso, sia detto; sette mesi dopo, dicevamo, ritorno a Rock Targato Italia e riprendo, autoreferenziale e monotematico come convenientemente mi si addice, dagli ora adulti di New York (perdonami, Maestro Pelizza!) per un inciso non così sicuramente prevedibile ma di sicuro non trascurabile: Music Industry-wise, per dirla all’americana, questo bisesto, funesto, nefasto, e nondimeno infausto AD MMXX ha tanto tolto all’industria quanto dato alla musica. Entrare nel merito di cosa o chi abbia recato un così grave danno all’indotto e alla salute, tra le altre cose, del business tutto è comprensibilmente fuori dallo spettro delle mie competenze e della mia volontà –e che Dio mi preservi dal farlo!–, ma da appassionato e pagante, ché i dischi che amo li compro, non posso far meglio del levarmi il poetico cappello e, piuma in mano, vergare una lode all’estro, all’ispirazione, e alla capacità di quegli artisti che nel corso di questa cattività ai confini della realtà hanno saputo (ri)consegnare alla loro arte –e, tramite la stessa, riconsegnare a noi– ciò che la pandemia ha sottratto. O mio Dio quanta ridondanza!— potete sempre contare su un egomaniaco passionale per l’esagerazione stilistica di cui avete bisogno, garantito. Ka, al Secolo Kaasim Rayan, rilascia il primo maggio Descendants Of Cain— il suo sesto album volendo includere Orpheus VS The Sirens (2018), fatto uscire sotto l’ermetico moniker Hermit And The Recluse; è difficile, se non addirittura non necessario, stabilire quanto l’anno d’uscita abbia influenzato l’uscita stessa, ma è di fatto estremamente semplice ringraziare il rapper e produttore di Brownsville (Brooklyn, New York; giusto per non spostarci altrove, per ora) per un capolavoro che, pur intriso di vita e di morte –vere, vissute, vive– di strada e di interrelazioni umane consumate fino a e dalle più estreme intimità, ben si presta ad accompagnare la solitudine, la segregazione, la contemplazione poetica, la preghiera, e il silenzio che, se non altro, il 2020 ci ha fatto riscoprire come necessari. Spostandoci ora in Canada e viaggiando leggermente indietro nei mesi, il 21 febbraio Grimes pubblica a suon di tweet –dichiarazioni (e) smentite– Miss Anthropocene, il suo quinto LP; possibilmente pronto già dal 2018 e costantemente rimandato, l’idiosincratico quasi-concept album dell’artista nata Claire Elise Boucher suona come una raccolta d’oscure profezie dreampop di molte delle possibili sventure prossime venture, ogni singola traccia permeata da una sorta di assenza di gravità che, lungo il corso d’un’emergenza sanitaria e sociale di tali proporzioni, diventa una credibilissma, spesso ispiratissima, metafora musicale –comunque non del tutto scevra di speranza– dell’attuale e mondiale mancanza di qualsivoglia certezza e/o riferimento. Il prossimo balzo spaziotemporale ci riporta a maggio –il 15, per la precisione– ma dall’altra parte dell’Atlantico— Cambridge, Inghilterra: Charlotte Emma Aitchison, in arte Charli XCX, presenta al pubblico how i’m feeling now (tutto minuscolo), il suo quarto album, nato durante –e ispirato da– il lockdown, e siamo dunque e di diritto più che mai dentro il 2020; concepito e fatto (letteralmente) in casa più o meno tra i primi di aprile e l’inizio del mese successivo, in netto contrasto con i discendenti di Caino di cui sopra, il disco vanta una collezione di inni electropop domestici e contemporanei –internet e social media inclusi– in grado di trasformare la casa dell’ascoltatore recluso talora in un dancefloor londinese al culmine del rituale pagano, talaltra, nei momenti più introspettivi e delicati, nella camera pregna d’anticipazione e velleità d’un/a ragazzo/a di oggi alle prese con tutte le promesse non mantenute, gli amori non consumati, le infedeltà, e le distanze del caso. E non a caso, aggiungerei. Volendo restare in Gran Bretagna, ci spostiamo ora nei meandri più remoti e sconosciuti del Galles, facendo un altro salto all’indietro lungo il calendario: il 20 gennaio, quando lo spettro del Covid-19 era ancora verosimilmente confinato nelle estremità del mondo, esce lo spettrale ed estremo Youth In Ribbons di Revenant Marquis, one-man band evidentemente underground che i meglio informati definiscono raw black metal e il cui spettro sonoro (scusate ancora!) sembra quasi il non intenzionale grafico dei suoni e dei rumori degli incubi, delle paure, delle insonnie, delle schizofrenie, delle convulsioni che confinamento e distanza –più che distanziamento– sociale stanno generando da mesi; un capolavoro assoluto, se me lo si domanda. Riemergendo dal sottosuolo/sottoterra del marchese redivivo, ma rimanendo parimenti claustrofobici e malmostosamente metal, ritorniamo negli Stati Uniti (Boston, Massachusetts) e al primo maggio: gli Umbra Vitae –supergruppo over-the-top capitanato dall’eclettico e irrefrenabile Jacob Bannon– debuttano con l’incredibile Shadow Of Life; dieci canzoni tra tecnica chirurgica, passione violenta, e scrittura da capogiro, un solo umbratile, ombroso, e tenebroso tono/colore— quello delle nostre migliori e più profonde (claustro)fobie. Oh, Mastro Bannon, che l’ombra della vita possa uscire alla luce del sole e dal suo attuale stato di progetto e diventare band, (c)attiva e costante! Un mese e due giorni dopo, il 3 giugno, il superduo hip hop americano Run The Jewels (EL-P, rapper e producer, Brooklyn; Killer Mike, rapper, Atlanta) cala il quarto asso consecutivo su quattro con RTJ4; fatto uscire due giorni prima della data ufficiale in segno di vicinanza alle proteste contro violenza e odio razziale in corso e, com’è d’uopo, imbellito da featuring e collaborazioni d’eccellenza, il disco è un trionfo di scrittura e di produzione e, traccia dopo traccia –barra dopo barra– aiuta davvero sapere che nonostante la stasi globale e globalizzata il Tempo può invece avere un Ritmo, il Ritmo un Flow, il Flow dei Contenuti, e che (il) tutto possa evolversi e cambiare— bomba! Ora il dovere –morale, intellettuale– ci riporta in Europa e dalla primavera ci trasporta all’autunno inoltrato per dire grazie a Francesco Bianconi (Milano, Italia) per aver concepito, scritto, e pubblicato Forever (16 ottobre) e per aver colto e sfruttato da vero artista la non scontata e favorevole occasione d’esser prodotto da Amedeo Pace dei Blonde Redhead— c’è tutto: parole, voce, musica, suono, e, nondimeno, Canzone d’Autore. Ci rispostiamo dunque negli States per rimanerci ma, prima del penultimo passaggio –il Penultimo Atto–, faremo una brevissima tappa sonica al di là delle ormai consolidate coordinate spaziotemporali: se, come me, amate il male, la magia nera coniugata ai tempi del 4G (o forse già 5?), e tutta l’angoscia e il risentimento suburbani e metropolitani possibili in musica, allora fate un giro su Spotify e ascoltate l’omonimo EP dei Baader-Meinhof— tre pezzi, nemmeno quindici minuti, incubi che dureranno ore. Se poi vorrete approfondire, digiterete su Google Ghostemane . . . Hollywood, Los Angeles; 11 settembre (!): non avrei davvero voluto scomodare nomi troppo più grandi di e per questo mio artritico e oltremodo articolato articolo (amo la cacofonia, tra le altre cose, l’avrete capito) ma la caratura del lavoro è tale che la necessità, soprattutto quest’anno, deve necessariamente (ri)farsi virtù, e WE ARE CHAOS (tutto maiuscolo) di Marylin Manson va a consolidare e rilanciare gloriosamente la posizione, sia in termini di successo che di prestigio, dell’artista all’interno d’un mercato –quello discografico, si capisce– che già ante-Covid-19 si dimostrava sempre meno incline (ai più esperti e preparati di me l’onere e l’onore di analizzarne i come, quando, e perché) ad accogliere le esigenze e le proposte di big over e mostri sacri vari ed eventuali. Eventualmente, il Nostro-al-Secolo Brian Hugh Warner si riprenderà la fetta di torta che gli spetta con un disco spettacolare, e così sia. Sarebbe infine giunto il momento di chiudere il cerchio e di ritornare a New York viaggiando nuovamente a ritroso nel tempo fino al 10 aprile per dire quindi come i The Strokes con The New Abnormal (per chi scrive, l’album migliore e più importante di questo ANNO MUSICORUM MMXX) abbiano . . . ma non lo farò, lasciandolo aperto (il cerchio, se già vi siete perduti) e al lettore-ascoltatore, oltre ai dovuti puntini di sospensione, la consapevolezza che per ogni album da me citato ne sono usciti almeno altri cento e migliori. Che Musica, il 2020, Maestro!

Milano, 08 12 2020

blog RockTargatoItalia.it

 

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021 - Fare Musica con il computer in tempo di Lockdown


di Antonio Chimienti -  
  Lockdown vuole dire trovarsi in un luogo dove di solito non sì hanno a disposizione i soliti
strumenti per registrare la propria musica, ma al contrario dove ricorrere a delle risorse
concentrate per cercare di continuare a produrre Musica.
La prima delle restrizioni che sì vivono in un tale scenario è senza dubbio l’assenza dei
propri monitor e di un ambiente idoneo all’ascolto.
Il secondo problema che sì palesa è l’impossibilità a portare a casa il proprio computer che
solitamente sì usa per registrare.
Non parliamo del caso in cui siamo abituati ad usare strumenti voluminosi come tastiere ,
hardware vario, mixer e chi più ne ha più ne metta!!
Quando a casa ci andasse di lusso potremo contare su una stanza tutta per noi, ma forse
sarà più comune il caso di una stanza da condividere con altri.
Insomma per riassumere il collo dell’imbuto è ovviamente la ristrettezza spaziale e la
necessità di adattarci al nuovo microambiente.
Proviamo a redigere qualche consiglio.
Innanzitutto le spine elettriche. Avremo a che fare con un setup che dovremmo smontare e
rimontare per lasciare spazio magari alla tovaglia per mangiare o a dei libri o ed altro lavoro.
Quindi tutti i fili collegati saranno d'impaccio ed anche uno di meno sarebbe comunque
auspicabile. Per questo motivo procuriamoci una multispina con un numero giusto di
attacchi. Distaccando lei avremo contemporaneamente staccato il tutto.
Dal punto di vista artistico invece è più complesso il ragionamento perché considerando che
le parti necessarie sono un computer, un ascolto ed uno strumento per inputtare le
note….con questi tre oggetti dovremmo riuscire ed essere operativi a sufficienza e questo
obiettivo non è facile da raggiungere sé non a costo di molti errori.
Vediamo nello specifico il computer. A grandi linee un computer per la musica ( sé portatile
come immagino vi serva) deve essere sbilanciato a favore della velocità di scrittura sull’HD.
Un Computer i5 o Rayzen 5 sono ottimi a patto che la RAM ( che definisce l’accesso ai dati
prima che vengano memorizzati.. una sorta di limbo in cui i dati vengono trattati “al volo” dal
processore pur non essendo ancora stati depositati da nessuna parte) sia intorno ai 16 giga.
Cosa accade sé fossero solo 8 o 4 ? Per rispondere devo spiegare alcune cose.
Quando apriamo il ns programma per fare musica noi abbiamo l’opportunità di far fare al ns
computer 4 cose molto distinte fra loro con richieste di potenza molto diverse. Ve le elenco
con a fianco la loro richiesta di potenza in valori .
Possiamo registrare note midi ( bassissimo), Registrare Audio da un microfono ( alto in
registrazione, basso in riproduzione) applicare Plugin effetti ( altissimo), suonare virtual
instrument ( da basso ed alto a seconda dello strumento). Questi consumi vanno moltiplicati
per il numero di tracce utilizzate. In proporzione alla riduzione di ram corrisponde una
riduzione di tracce funzionanti a nostra disposizione. Con un processore i2 e 8 gb di ram con
cubase ho sperimentato l’utilizzo di 8 tracce midi su 3 virtual instrument e tre tracce audio
stereo. Un solo plugin effetto su tutto. Il risultato ok. Con un I7 con 16gb di ram cosa più
cosa meno ho lavorato come in studio. Ma veramente non proprio uguale perché la
reattività dei processori presenti nei computer portatili sono diversi nella performance di
quelli installati su schede madri ben più voluminose. Comunque per concludere questa parte
un processore i5, meglio sé ryzen 5 con 16 gb ed un hd ssd sono un ottimo lasciapassare.
Non vi troverete male, garantito.
Per l’ascolto le cuffie sono la scelta migliore. potete attaccarle al computer e quindi evitare
schede audio esterne. Vi consiglio però l’acquisto di una piccola cassa mono bluetooth per
monitorare.
Per l’input delle note vi consiglio una mini tastiera USB. Conosco chi usa la tastiera del
computer, ma insomma come fare a suonare una linea di basso funky con le lettere delle
tastiera? A tutto c’è un limite :)
Della scheda audio non vi ho parlato perché quando è stato il mio momento avevo scoperto
di avere l’esigenza di registrare un pianoforte reale e che quindi mi avrebbe fatto comodo
avere degli input microfonici ( almeno tre) e lì capii che nelle dimensioni ridotte dovevo
raggiungere un compromesso. Questo compromesso è quello che rivolgo a voi fino a
l'intendimento di decidere anche di non usare una scheda audio , ma utilizzare gli ingressi
del computer. Perché non credo che tranne per qualcuno sia fondamentale acquisire tracce
di grande levatura nel lockdown o meglio ci sì augura che presto sì possa tornare allo
standard di vita normale. Tuttavia sulla scheda non fate investimenti importanti e sé proprio
dovete, scegliete quelle USB tipo 3. Ci Sono le 1 e le 2 ed il numero definisce la velocità di
trasmissione dei dati tra e da il computer. Fate anche attenzione che ci sia un attacco midi
perché al limite la potrete integrare successivamente con il vostro setup in studio.
Di seguito vi elenco il mio setup Covid per vostro confronto: Computer Lenovo Legion 520,
Tastiera Arturia 37Keylab ( una delle pochissime con uscita USB, Midi, CV quindi tutte)
alimentata via USB dal computer e collegata midi ed una Korg Electribe2. Le cuffie (marca
VModa) sono collegate all’uscita della Korg e nella sua entrata stereo è collegata l’uscita
cuffie del computer. In questo modo con le cuffie monitoro il computer miscelato alla
electribe. La electribe ed il computer sono linkati nel clock attraverso USB. Quando arrivo ed
un risultato lo ascolto scollegando il cavo cuffie e collegando l’uscita della electribe ad una
cassa JBL bluetooth piccola ma molto efficiente. Il tutto sta nella borsa del computer.
Nessuna scheda audio.
Buon Divertimento

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L’URLO DI MAURIZIO

L’URLO DI MAURIZIO

ARROTA OFFICIAL VIDEO:

https://youtu.be/Vl9dG0mF-_c

Il singolo è tratto dall’album “THE GREATEST NOTS" di MARSICODITRAPANI  ovvero MAURIZIO (Monofonic Orchestra) MARSICO e STEFANO (Demented Burrocacao) DI TRAPANI.

Amarezza tanta tristezza, un mondo importante una filiera ricca di storia addio. Provo delusione e rabbia. La musica italiana al limite della sua estinzione. E' questo lo stato d'animo che mi ritrovo dopo aver letto la lettera di Maurizio Marsico della Monofonic Orchestra autore (insieme a Stefano - Demented Burrocacao - Di Trapani) dell’album "THE GREATEST NOTS" che trovo provocatorio, ironico, interessante, ipnotico, delizioso. Lontano dal mainstream ma vicino molto vicino alla dimensione umana delle passioni della sperimentazione e ricerca, delle narrazioni che tra i brani del cd scorrono veloci e intriganti, generando, curiosità, interessi, stupore, viaggi e amori.  Un amore, un piacere immenso.

Ascoltare un artista, un creativo che crede fortemente nel suo impegno è come vedere un artigiano soddisfatto del proprio lavoro ... un mondo che sta scomparendo, ucciso.

E' ora di (ri)comiciare a denunciare con Immaginazione il Quartier Generale dell'Imbecillità!

Francesco Caprini

L’URLO DI MAURIZIO

abbiamo potuto permettere che l'ecosistema Musica in Italia giungesse al limite della sua estinzione?

Perché è stata deliberatamente e indiscriminatamente minata la vitalità, l'eterogeneità e la specificità degli organismi musicali autoctoni, compromettendo al tempo stesso gli ambienti in cui la musica, Arte tra le Arti, avrebbe potuto continuare a vivere ed esser creata (e interpretata) serenamente e liberamente come in altri luoghi, con assai meno Cultura, meno Storia e con assai minor talento naturale in crescita spontanea a disposizione?

Quando è accaduto che d'un tratto il rock di casa nostra, come destato da un brutto sogno, si scoprisse democristianamente ecumenico fino al midollo?

Come possiamo ancora chiamare Musica (senza vergognarci) quella roba lì che gira intorno a dieci cantanti superstar, tre talent show e un Festival sempre più parodia di se stesso e talvolta anche a qualche musicista "outsider" ma, mi raccomando, soltanto in modica quantità e al patto che incarni le fattezze dell'artista tormentato da cartolina o le stimmate del pianista alla Shine o dello scherzo della natura che però signora mia è tanto tanto bravo?

Come se il musicista in quanto tale, dovesse essere compianto di default. Appena in fasce, già postumo.

Un paio d'idee ce le avrei, ad esempio tutto lo scempio compiuto dagli adepti della religione del consenso, il cui motto è lo stesso da almeno trent'anni: diamo alla gente ciò che la gente vuole. Che in italiano significa: diamo visibilità a chi ha già visibilità. Diamo notorietà a chi ha già notorietà. Diamo spazio a chi ha già spazio.

Capite che con questi presupposti non ci vuole un genio dei modelli matematici per capire con quale considerazione e quale rispetto la musica sia tenuta in conto da noi, e quanto sia prossima alla data di scadenza e quale ne siano le vere cause.

A ciò possiamo comodamente aggiungere le programmazioni blindate dei network radiofonici che per anni hanno promosso senza vergogna produzioni realizzate nei propri "scantinati" insieme ai compagnucci di merenda per poi scoprire che alla fine i comici avevano più ascolti della dance: veri Einstein del marketing. Scienziati puri della più inarrivabile statistica.

Dopo le risate, la figa, la tv del dolore, il trash, l'infogossip, i politici rockstar e compagnia briscola. E la musica ?

Pochi pochi pochi numeri, c'è la crisi. Aaaaaaggggh !!!

Colpa vostra, ma proprio solo vostra. Guardatevi allo specchio e sputatevi in faccia, invece di rinfacciarci spudoratamente gli errori che continuate a fare. Che coraggio. Qualcuno direbbe: cornuto e mazziato.

Quasi un ritratto del musicista italiano contemporaneo.

Questo è lo sconfortante scenario in cui è uscito The Greatest Nots, un disco sorprendentemente apprezzato dalla totalità delle testate musicali (che con nobile spirito di servizio/sacrificio, resistono, resistono, resistono). Un disco felicemente alternativo a tutto, persino all'alternative, che si è spinto oltre i margini del suo terreno di caccia naturale fino a lambire i confini della cosiddetta civiltà discografica.

Un disco realizzato da una vecchia tigre come il sottoscritto e da una più giovane (Stefano Di Trapani), in quei rari spazi fisici e mentali in cui l'immaginazione riesce ancora a sopravvivere. Le tigri si sa, sono pericolose ma servono. Se si estinguono si compromette l'intero sistema. Uccidi la tigre e muoiono anche le api. Le costringi alla fame, raggiungono il centro abitato e te se magnano.

Okkio !

Maurizio Marsico

 

https://www.facebook.com/demented.burrocacao

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FRANCESCO CAPRINI – FRANCO SAININI

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