ATMOSFERE MODIFICATE.
ATMOSFERE MODIFICATE.
Prima di entrare nel vivo di questo pezzo, consentitemi di fare un paio di brevi premesse. La prima: ho pensato molto a come scriverlo, alle parole da usare, al tono di voce … insomma, a come dire quello che voglio dire lasciando il minor margine possibile alle controversie e ai fraintendimenti che sicuramente susciterà. La seconda è che dal mese scorso (dicembre 2019) ci sto studiando … ascolto e riascolto.
Sia come sia. Io non ho la presunzione di essere un’entità superiore con la verità in tasca. Non sono un cronista, non sono un critico. Sono uno che ha le Visioni e sono le mie. Con queste riempio questo spazio, qualche volte felice di quello che voglio dire e dico, qualche altra con disappunto e tristezza, altre ancora, con ironia. Sento già qualcuno di voi sussurrare excusatio non petita … Il tema è: come si fa di fronte ad una cosa (la stessa cosa!) ad avere due punti di vista divergenti. Quante volte abbiamo recensito un disco, un libro o un film? Mai ci siamo trovati davanti ad una così difficile soluzione del caso. Il caso, per un Visionario modello Poirot, è stata l’uscita un nuovo disco: Who.
Esce a metà di dicembre, anticipato da tre singoli accompagnati da alcune stranezze. Il primo esce in settembre, s’intitola Ball and Chain. All’ascolto è un bel pezzo che sembra riportare alle origini di una delle più importanti band della Storia. Il pezzo è di ottima fattura per stesura e arrangiamento, la voce di Daltrey è quella di un grande interprete invecchiato bene. Soffre, forse, di un’eccessiva linearità che alla lunga lo fa percepire lievemente banale.
E qui si inserisce la prima stranezza: l’altro mito superstite del gruppo epocale planetario, Pete racconta urbi et orbi, che non ha scritto un album rivolto al passato e l’ha volutamente scritto moderno e lontano dalle nostalgie. Mi domando: ma, come?
Esce a novembre, il secondo pezzo, e qui si capisce cosa dice Pete Townshend! All this Music Must Fade è un bel pezzo moderno, direi contemporaneo. Super qualità nella stesura, curato nei suoni… eppure c’è qualcosa che non torna. A me, almeno.
Tra settembre e novembre dello scorso anno, si inseriscono altre due stranezze. La prima è l’indiscrezione secondo la quale in uno dei brani dell’album Pete volesse che Roger rappasse. Il cantante ha cordialmente rimesso al mittente la richiesta con un deciso diniego.
La seconda è che Pete rilascia un’intervista a Rolling Stones in cui sostiene sostanzialmente che è stato un bene che Moon e Entwistle fossero defunti … Ok, dirlo agli amici al bar che condividono il tuo stesso livello di ubriachezza cattiva … ma ad un giornalista di autorevole rivista pare, eufemisticamente, una battuta scomposta. Chiederà a breve giro, scusa pubblicando un post intitolato (più o meno) “Pete, chiudi il becco”.
Terza ed ultima stranezza (io perderò l’uscita dell’ultimo singolo e salterò direttamente all’ascolto dell’intero album), diventa di dominio pubblico, più di quanto lo fosse prima, che i due superstiti di uno dei migliori gruppi di tutti i tempi, per quanto affezionati l’uno all’altro, non si sopportino ormai più e siano costretti a registrare in sessioni separate e a pernottare in hotel diversi durante i tour. Su questo, si torna e ritorna come se fosse una novità o una notizia importante. Ci tornano critici e giornalisti, intervallando questo pettegolezzo trito e ritrito con gli osanna per il grande lavoro. Io ho pensato: saranno affaracci loro. E, se posso chiedere, a voi piacciono tutti quelli con cui lavorate?
Passo all’album. Who (intendiamoci bene) è un grande disco. Anche con Townshend il tempo è stato mite e ci ha concesso un songwriter di altissimo livello (scrive insieme al fratello Simon), ancora una volta. Dentro ci sono due brani particolarmente interessanti come Break The News e Rockin’ in Rage. Ma tutto, in realtà, denuncia una fattura di eccellente livello e compositori e musicisti in stato di grazia (ci suonano dentro amici come Palladino, Starkey, Giltrap e altri …).
Sto sentendo aumentare i vostri: “e quindi?”.
Quindi, come direbbe il Commissario Montalbano, ho un cuore d’asino e uno di leone.
Se fossi, come sono, un cultore della musica e un appassionato della materia non perderei tempo e correrei a comprare il disco. Lo consiglierei a tutti e, se lo avesse registrato chiunque altro, urlerei di gioia. Urlerei al miracolo. Se poi lo avesse composto e arrangiato qualche giovane contemporaneo, mi straccerei le vesti e farei abiura per tutto ciò di negativo pensato e scritto sulla musica degli ultimi due decenni.
Se fossi, come sono, un fan sfegatato degli The Who, lo comprerei perché è un bel disco e perché non puoi non avere la discografia di una band come quella.
State aspettando il “ma”, vero? MA, sulla copertina c’è scritto che è un disco de The Who e s’intitola Who. Della band di My Generation, Tommy e Quadrophenia ci sono solo tracce e se Pete Townshend è stato lontano dalla nostalgia, io la provo e copiosamente.
Qualcuno potrebbe dire che uso due pesi e due misure: se vi ricordate la mia recensione di Western Stras del Boss, sostengo che lo Springsteen maturo e esistenzialista ci è piaciuto molto. Avete ragione. Però è esistenzialista e questo assolve all’assenza di armonica e Telecaster. E’ una generalizzata malinconia americana, giocata usando degli attori anziani, acciaccati ma che hanno ancora voglia di chiedere qualcosa alla vita. Who è una intera rivoluzione copernicana che comprendo (anche se non completamente) ma mi risulta particolarmente lontana.
Non sarebbe meglio usare un’altra etichetta quando nella bottiglia, al posto di un ottimo vino hai messo dell’eccellente sherry?
Posso sbagliare.
D’altra parte, questo è il periodo dell’anno in cui tutto sembra avvolto da un’atmosfera strana, modificata. Le città soffocate dall’inquinamento luminoso delle luci delle feste. L’era del cross over che impazza. L’annuncio (senza grandi palpitazioni) di chi concorrerà a Sanremo. L’inverno che comincia caldo e soleggiato.
Sì. E’ un’epoca strana. Come ho detto, consentitemi di cedere all’obbligo di dare a Cesare quello che è di Cesare … con un piccolo moto di tristezza.
di Paolo Pelizza
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